Il disorientamento e l’apatia che sorgono dalla disidentificazione

Da Luciana ricevo: “Credo sia un periodo di reset, come quando dal troppo pieno si esonda e si fa il vuoto. E’ con fatica che cerco di mettere insieme le parole affinchè si comprenda ciò che forse è confuso anche per me. Sono apparentemente tranquilla, nel senso che ciò che accade non mi turba più di tanto, ma questo stato di apparente apatia non mi è familiare. Sono sempre stata una persona accomodante e adattabile, ma quello che vivo ora è uno stato diverso, è come se quello che succede non mi toccasse, come se ci fosse una distanza tra me e ciò che accade. Forse il mio corpo emozionale non si fa più sentire come un tempo, e anche la mente non va in cerca di spiegazioni in modo spasmodico.”
Quella disposizione interiore, che per altri rappresenta un problema, per noi è indicatrice del procedere lungo la via.
Ad un certo punto del cammino si presenta l’esperienza della disidentificazione: una lontananza rispetto alla maggior parte delle cose, accompagnata da uno svuotamento di senso e da una perdita di interesse.
E’ una fase inevitabile: l’identità è pervasa dal dubbio, ciò che prima era certezza – la lettura di sé come emozione-volontà-pensiero – vacilla e ad essa va sostituendosi una nuova interpretazione del proprio essere e della vita basati sull’accoglienza, la flessibilità, il piegarsi, l’imparare da tutto ciò che la vita manda indipendentemente da quello che si vorrebbe, la non identificazione.
Il vecchio va scomparendo, il nuovo si radica ma non si è ancora affermato compiutamente, la mente è in lutto: ha perso i suoi trastulli, comprende che qualcosa che la relativizza si va affermando. La consapevolezza di un nuovo sguardo è sempre più presente e porta con sé anche una perplessità, perché introduce nella percezione di noi e della vita sensazioni, interpretazioni e un sentire nuovi per cui non siamo ancora del tutto attrezzati.
Questa fase è una benedizione: non torneremo più indietro.

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Eddy

Conosco questa fase, ma per quanto mi riguarda, oltre a non tornare indietro, non mi sembra di andare nemmeno avanti, nel senso che questo stallo si ripresenta come un disco rotto ancora ed ancora.
E’ vero che ogni volta c’è una sfumatura o un sapore diverso, ma è ormai del tempo che vengo cucinato in questo brodo e visto che ci stò ancora dentro, sembrerebbe proprio che non sono ancora cotto.
A volte è come se, sia l’abbandono a questo stato o il suo superamento fossero banalizzati, fossero svuotati di senso, come se questo limbo impedisse al nuovo di farsi avanti, schermandolo.
In sottofondo la mente per attirare questa distratta attenzione mette in atto dei pensieri circolari, ossessivi, sfiancanti.
Mi fa venire in mente spleen di Baudelaire, ma senza tutta quella tragicità teatrale, forse sento più vicino Guccini :“ S’io avessi previsto tutto questo, dati causa e pretesto le attuali conclusioni … e a culo tutto il resto”

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