Come posso imparare?

Grazie al limite tuo.
Se ho una qualche ferita sul piano dell’identità, la relazione con te me la renderà visibile.
Se tu sei molto attento, molto premuroso e previeni ogni possibilità di farmi male, corri il rischio di non permettermi di vedere la mia ferita e di affrontarla.
Se tu sei perfetto, non sei un buon collaboratore.
La tua imperfezione, i tuoi comportamenti che sollecitano in continuazione la mia ferita, non solo mi costringono a vederla ma mi inducono ad affrontarla e superarla. Grazie al fatto che tu porti un limite, io ho una possibilità concreta di superare il mio.
Questo è ciò che viene operato in continuazione da un amico, un collega di lavoro, un partner, un accompagnatore, un maestro; questi possono avere gradi diversi di consapevolezza ed agire alla luce di una intenzionalità più o meno inconscia, ma il risultato non cambia: io sono messo davanti a me stesso.
La differenza tra questi collaboratori è una ed essenziale: l’avere o no qualcosa da perdere. L’accompagnatore, il maestro non hanno niente da perdere; consapevoli di grado più o meno ampio, vivono la relazione e sanno che l’altro ne trae ciò che gli è necessario.
L’amico, il partner hanno il timore di perdere la relazione: l’accompagnatore, il maestro, per la natura della loro funzione, non si curano di questo e assecondano il movimento della vita che porta ciascuno incontro a se stesso.
In questo assecondare la vita ora attuano un comportamento, ora un’altro, tanto da risultare profondamente incoerenti: al centro non c’è il loro essere identitario e le sue qualità (un aspetto delle quali è la dinamica coerenza/incoerenza); al centro c’è l’essere della vita che li porta, li sospinge, a volte assurdamente anche ai loro occhi, a mettere in atto una scena piuttosto che un’altra.
Non c’è ragionevolezza in questo, né logica, e a volte nemmeno buon senso: come tutte le tradizioni testimoniano, l’accompagnatore, il maestro, è spesso un paradosso vivente e la sua non riducibilità ad uno schema ci mette quasi sempre in una crisi che ci conduce, in prima istanza a distruggere l’immagine che ci siamo creati di lui/lei; in seconda istanza, dopo essere usciti dal ruolo di vittime, ad interrogarci su di noi.

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Anonymous

La differenza tra questi collaboratori è data anche dalla capacità di vedere con obiettività quello che si sta svolgendo. Chi è riconosciuto come accompagnatore ha una maggiore capacità di guardare da sopra il mare delle emozioni e il turbinio della mente e vedere ciò che si muove, cosa molto difficile in un rapporto di coppia (tra patner ma anche tra genitore e figlio o tra colleghi) in quanto le emoozioni annebbiano spesso la realtà dei fatti. Il suo punto di vista può essere molto interessante e stimolante se accolto. E’ questo riconoscimento che gli conferisce autorità.

Elena

Condivido ciò che scrivi, a patto che nessuno si identifichi in una funzione precisa, altrimenti c’è il rischio di un uso e abuso di potere e quindi anche un partner o un amico possono essere i tuoi migliori maestri, come il maestro o l’accompagnatore sa che riveste una funzione momentanea. Se l’attenzione è rivolta al “non aver nulla da perdere” nella relazione con l’altro da me, in ognuna di queste funzioni può non esserci l’ essere identitario e quindi non c’è necessità di rompere nessuna immagine dell’altro, poiché non si era mai creata e ognuno è messo in gioco.

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