Come un mantra ripetiamo nei nostri gruppi e in tutte le situazioni: l’altro parla di te e con il suo esserci, consapevole o inconsapevole, ti svela.
E’ un’affermazione di principio su cui c’è ampio consenso; più difficile diventa la situazione quando da principio diviene pratica e ci si trova nella condizione di essere svelati dall’altro. Essendo doloroso inizia la protesta dell’identità e quel movimento sottile che ci mette, pian piano, nel ruolo di vittime: l’altro è colui/colei che ci ha feriti.
In poco tempo abbiamo dimenticato tutti i principi e l’unica cosa che vediamo è la ferita alla nostra identità e la colpa dell’altro che l’ha provocata.
Il passo successivo è cercare conferme in chi ci sta accanto, sentendolo vicino e solidale a noi, costruendoci insieme l’immagine dell’altro che si, ha veramente esagerato!
E’ il gioco più vecchio del mondo ed il più usato e abusato dentro alla cosiddetta via spirituale; nella relazione tra accompagnatore e accompagnato, tra insegnante/maestro e allievo/discepolo, ricorre senza fine questa dinamica con il ferito e il feritore, il non rispettato e il non rispettante.
Il gioco prevede che il non rispettato nelle sue prerogative individuali, nel tentativo di difendere il fortino della propria individualità violata, attacchi e mini in vario modo la credibilità dell’artefice del crimine, per giungere ad un risultato: “Io avrò anche qualcosa da lavorare, ma tu con che legittimità operi?”
In un men che non si dica tutta la via spirituale è scomparsa, tutto il cammino incontro a sé e oltre di sé, non sono che vuote parole e l’unica cosa che abbia risalto ai nostri occhi è la nostra ferita e il gesto dell’altro che l’ha provocata.
La via non è più conoscenza e trascendenza, inchino di fronte a quel che viene e ci costringe a piegarci su quell’aspetto che ci brucia: no, la via diviene il luogo dove spade e scudi cozzano e il loro fracasso assorda.
L’accompagnatore, che impara alla pari e non meno dell’accompagnato, non ha più la funzione di colui/colei che ci svela, anche indipendentemente dalla sua volontà, per il fatto stesso che gli conferiamo quella possibilità: diviene l’oggetto della nostra ribellione.
E’ una scena perfetta. Nel nostro conoscerci, veniamo messi dall’altro, chiunque esso sia ma in particolare da chi ci accompagna, di fronte al nostro lavoro, nella nostra officina e, come sempre è e come non può che essere, dopo una breve luna di miele iniziale, cominciamo a tirare calci, la nostra mente/identità inizia a farlo.
Questa reazione ci permette di vederla, di stanarla, di lavorarci dietro nel nostro intimo. Quando smetteremo di accusare, torneremo nell’intimo nostro e ci chiederemo: “Perché mi fa così male?”
In questo gioco delle parti non c’è protagonista che non impari: chi accompagna impara non meno di chi è accompagnato; se chi accompagna ha un po’ d’esperienza sa che in questo gioco deve guardare il suo e lasciare che l’altro viva i processi che gli sono necessari.
Questo è davvero il gioco più vecchio del mondo.
L’argomento è sottile e delicato. Quel che troppo spesso mi è capitato di vedere è chi si pone sul piedestallo, per via del ‘percorso spirituale’ che ha intrapreso, che può giustificare di tutto.
Quanto ho imparato da chi non aveva pretese d’insegnare alcunché e da chi si è chiamato fuori da qualsivoglia ruolo …
Ammiro ed apprezzo la possibilità di mostrare il modo onesto etico ed umano di trattare le dinamiche delicate che si instaurano nella relazione fra accompagnatore ed accompagnato. Ad un cero livello accade, come per la figura mitica di Chirone,il centauro che aiutando gli altri a curare le proprie ferire, approfondisce la cura delle proprie. E’ la relazione,lo scambio stesso che si crea a mostrarci le aree intime su cui stare, da approfondire, le ombre da stanare.
Se riusciamo a ricordarci che non abbiamo nulla da perdere e da guadagnare, che possiamo avere fiducia nella vita, nel processo, in noi, e quindi anche in ciò che tira e fa male, che per far tutto questo occorre calma e tanta accoglienza, allora piano piano faremo a meno di puntare il dito sull’altro (cosa che per altro non fa che aumentare la sensazione di sale sulla ferita e l’identificazione con essa), ma nell’intimo nostro con amore e dolcezza ci massaggiamo la parte dolente, ci calmiamo e rassicuriamo. L’altro ci svela, e noi sveliamo l’altro, questo è il passo base della danza della relazione, ognuno è chiamato seriamente ad interrogarsi ed a lavorare su se stesso. E ciò che io trovo interessante, molto interessante, nel nostro cammino, di accompagnatori nel sentiero spirituale è che lentamente, molto lentamente, tutto lo sforzo e l’impegno del nostro lavoro va proprio verso un processo di svelamento che consente alla persona-individuo, che sino a quel momento era stato in un certo modo diviso, di diventare unico, perchè individuo significa esattamente non diviso, unico, ed accompagnarlo in quel sentiero-processo di trasformazione e crescita, che gli consenta finalmente di vedere le proprie ferite, i condizionamenti che gli derivano, e di rinascere a se stesso nella sua essenza e nei suoi valori, e soprattutto responsabile dei passi che muoverà nella sua vita con tutto ciò che questo abbraccia.