Prendiamo spunto dal commento di Cristina sulla nostra bacheca fb, riferito al nostro post del 13.1: “Io vorrei scrivere: siamo un meraviglioso soffio di vento”.
Che cos’è l’esperienza della meraviglia? Sorge di fronte all’eclatante, al manifestamente bello, significante?
Può darsi. Nella visione comune immaginiamo sia così. Nella nostra esperienza non possiamo parlare di questo, ma di qualcosa d’altro.
L’esperienza della meraviglia ha bisogno, così ci sembra, di un postulato: uno sguardo sulla realtà comprensivo, che spazia sull’insieme dei processi creativi che chiamiamo realtà, non su frammenti di questa.
C’è bisogno che noi si veda il gesto creativo e quello distruttivo; l’aiuto e l’ostacolo; l’egoismo e l’altruismo; l’assassino, lo stupratore, il pedofilo e il consapevole, il disponibile, il generoso.
E’ necessario che noi si vedano i molti colori della realtà e come ciascun colore rappresenti un’esperienza, un aspetto del bianco, il passo di un cammino.
Che si osservi il santo piuttosto che l’assassino, dovremmo comunque vedere uno stato, una fase, di un processo.
Solo l’Assoluto non ha processo: dall’osservazione del processo può sorgere la meraviglia, quello stupore generato da una comprensione.
L’esperienza della meraviglia è la risultante di una comprensione avvenuta su di un fatto, su di un processo, su di noi, sull’altro.
L’uso dell’aggettivo “meraviglioso” qualifica una certa esperienza della realtà e, in alcuni casi, anche una sua comprensione. Nella nostra esperienza, l’essere attraversati da una meraviglia, da uno stupore per la realtà, invece di condurci ad una esclamazione, ci conduce ad ammutolire stupiti.
Può darsi che questo sia da porre in relazione con la nostra natura poco incline all’estroversione.
Può anche darsi che la visione lucida del creativo e del distruttivo e il superamento della dicotomia creazione/distruzione, per sperimentare l’unitarietà dell’esistenza, producano una osservazione, una partecipazione ed una presa d’atto senza qualificazione. Non saprei.
E’ un luogo comune – ma forse vale la pena ricordarlo per l’ennesima volta. La meraviglia – come “esperienza della realtà” – è stata vista come la radice dalla quale sarebbe nata la maggior parte delle domande dell’uomo (perché alla base della filosofia, prim’ancora che da questa si separassero le singole scienze).
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Nel “Teeteto” Platone fa dire a Socrate: “[…] si addice particolarmente al filosofo questa […] sensazione: il meravigliarti. Non vi è altro inizio della filosofia, se non questo, e chi affermò che Iride era figlia di Taumante come sembra, non fece male la genealogia” (155d).
Molto poeticamente, si parla qui della divinità Taumate (dal greco “θαυμάζω” che è appunto meravigliare/meravigliarsi) come padre di Iride, personificazione dell’arcobaleno, una delle più meravigliose cose dinnanzi alle quali si prova meraviglia – una di quelle cose i cui colori ritroviamo ovunque sparsi nel mondo dinnanzi al quale ci meravigliamo.
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E, mutuando l’idea platonica, ancora Aristotele rifletterà sulla meraviglia e sul meraviglioso come fonte di buona parte degli interrogativi umani [http://www.filosofico.net/Antologia_file/AntologiaA/ARISTOTELE_%20LA%20MERAVIGLIA%20COME%20C.htm].
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Eh, quant’è meravigliosa la meraviglia!