Presentiamo un testo illuminante del Cerchio Firenze 77 sulla preghiera e sul pregare, tratto dalla pagina Facebook del Cerchio.
In sé le parole di Kempis esauriscono l’argomento e poco possiamo aggiungere. Nella nostra didattica noi parliamo di “dialogo interiore” e preferiamo questa espressione perché meno condizionata.
Dialogo con chi? Non con un “tu” altro da sé: un dialogo tra sé, sapendo che quel “sé” è di incommensurabile vastità e, in esso, non c’è alcun “io” e alcun “tu” ma un essere e un esistere, un esistente, che nel momento in cui utilizza il pensiero non può che mettere in scena la finzione del dialogo.
Il dialogo è riflessione, considerazione, gratitudine, intimità tra aspetti dell’essere e si svolge sul filo del “Fammi comprendere affinché la prossima volta sia diverso: ti sono grato per questa possibilità!”
Quel “fammi” è rivolto a quella parte costitutiva dell’essere che genera la realtà: c’è il “noi” che la genera e il “noi” che è specchio del generato.
Il dialogo è la coscienza davanti alla specchio della realtà da lei stessa creata attraverso i veicoli della mente, dell’emozione, del corpo: è la relazione nella forma del discorso, o del gesto, tra questi veicoli.
Il dialogo è la rappresentazione della danza tra sentire ed identità, dove quest’ultima, con le sue dinamiche vela l’espressione della coscienza.
Un dialogo tra il cieco e la luce, meglio, tra l’identificazione con un ipotetico cieco e la scoperta, la sorpresa, che esiste solo la luce.
Il dialogo interiore, la preghiera, è coltivare questa sorpresa, questo stupore: “Ti credevo perduto e ti ho ritrovato!” (Luca 15,31-32)
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