Negli abissi dell’illusione si mostra la realtà.
Lo sguardo non è rivolto al santo, se non raramente.
Attraverso il mio cadere comprendo il cadere di chi mi cammina a fianco;
attraverso la mia fatica comprendo il faticare di tante esistenze;
attraverso il mio egoismo comprendo l’egoismo in sé, nella sua natura più profonda;
attraverso lo scomparire di me, vedo ogni scomparire e l’illusione di ogni esserci.
Ciò che mi svela è il mio e l’altrui cadere:
non ho bisogno né di santi, né di incensi.
La vita basta a se stessa,
quella che tutti i giorni incontro nell’officina della mia vita,
frequentata da esseri comuni con le loro tute che sanno di usato e fatica.
Rintraccio questo post oggi, dopo 12 anni quasi dalla sua “uscita”. Cercavo qualcosa di buono e di ispirante proprio oggi che ho saputo che tra un mese lascerò il lavoro per andare in pensione!
Il partner, gli amici storici: talvolta ho voglia di lascarli andare via, proprio per la fedeltà con cui mi mostrano le mie cadute, i miei limiti, l’ingombro del mio ego…
Solo con pochi mi faccio vedere nelle mie debolezze, ho paura: mi saranno fedeli se mi mostro? mi accetteranno anche con le mie debolezze?
Ma in questi ultimi mesi la compassione me la tengo a braccetto: compassione per me e per coloro che mi circondano…
Sono grata per questo contenitore di “punti di riferimento”!
In effetti sento quelli a contatto coi quali cado e ricado, quotidianamente, come i più scomodi e grandi maestri-disvelatori di me. I figli in questo, ad esempio, li trovo guru infallibili! Regalano continue esperienze di visione del mio cadere e mi danno al contempo la misura del cambiamento, dell’impermanenza, dello scarto. E gli amici storici? Scomodi e irrinunciabili testimoni di cadute, memoria naturale di imperfezione. Ho molta ammirazione e gratitudine per chi sa regalare la visione del proprio cadere per quello che è, uno dei fatti che ci fanno quel che siamo, senza bisogno di camuffare o giustificare. Io non sempre mi concedo di mostrarmi, e non è che non mi veda.