– Scomparire come portatore di nome suona remoto, – dice Francesca.
Non solo remoto, a volte pauroso. L’identità paventa il proprio scomparire e, di necessità, ciascuno di noi attraverso questa paura deve passare.
La paura di scomparire, l’esperienza del deserto, due pietre miliari del cammino verso la libertà, entrambe conseguenza di reazioni dell’identità, della lettura/interpretazione di sé.
Giorno dopo giorno, mentre le esperienze cambiano il nostro punto di vista e ampliano il nostro sentire, si affacciano le resistenze; come nella vita di coppia si transita da innamoramento ad affetto, ad amore, così nella via spirituale i giorni dell’entusiasmo lasciano il passo ad una complessità ineludibile.
Noi torniamo senza fine sul tema dello scomparire non perché ci divertiamo a disorientare le identità, ma perché non c’è vita senza manifestazione e senza scomparsa.
Ciò che non è chiaro all’identità, che desidera la manifestazione e teme la scomparsa, è che già, qualunque sia lo stato del cammino interiore, lei si confronta con lo scomparire.
Il dormire è scomparire; una malattia che ci costringe a letto è uno scomparire; un abbandono è uno scomparire; le stagioni della natura e della vita sono uno scomparire; il dimenticare è uno scomparire; l’invecchiare e il morire sono uno scomparire.
Quello che spaventa è lo scomparire definitivo: la morte fisica, la morte del nome.
Se così è, quanto ci può aiutare l’imparare a guardare più in profondità la nostra esperienza identitaria, la voce di qualcuno che dice: – Guarda che, nei fatti, mai è esistita un’identità, mai sei esistito! Quella che chiami con il tuo nome, se guardi bene, è inconsistenza, è un’adesione di comodo, ci piace dirci che ci siamo, ce la cantiamo e ce la suoniamo ma non c’è nessun nome, è solo una interpretazione!
Ci può aiutare perché insinua un tarlo: da un lato lo respingiamo, dall’altro ne subiamo la fascinazione, comunque ci interroga.
La persona della via ha bisogno, veramente bisogno, di allevare tarli.
E, intanto, ogni giorno si confronta con tanti piccoli e grandi scomparire, finché non le diviene evidente, perché lo ha compreso attraverso le esperienze, che non c’è niente che scompare, se non una lettura di sé, perché mai niente è esistito.
spesso la prima reazione la fuga.
non voler sentire, vedere, vivere quel che sta accadendo.
poi, alla fine, stremati, quando non si può fare altro se non capitolare, ecco che non solo esserci con quel che accade non annienta, ma addirittura.. si scioglie in un sorriso di serenità e di piacere ..
quanti fantasmi nutriamo di continuo!