Spesso la mente gioca brutti scherzi. Pretende di poter sapere, prevedere, programmare ogni cosa a priori. Crede di poter conoscere sempre come andrà a finire. E’ arduo per lei arrendersi di fronte al fatto che, in realtà, nonostante gli schemi, le previsioni, i progetti, gli esiti sono tutto fuorché certi. Basta un nonnulla per scombinare le carte e fare cadere un castello che, a posteriori, si rivela essere di mera sabbia e acqua. E a cui si era finiti per credere come solido ed eterno.
Spesso la mente crea catastrofi e tragedie laddove poi non si verificano, ingenerando in modo concomitante una serie di emozioni deleterie e distruttive che agiscono dolorosamente anche sul corpo.
Formuliamo un esempio. Mi trovavo giorni fa immersa nella nebbia più fitta, mentre guidavo in autostrada. Con pochi metri di preavviso mi trovo di fronte un viadotto, tristemente noto alla cronaca per la sua pericolosità. Non ho alternative, né spazio, né tempo per ripensamenti dell’ultimo minuto: devo attraversarlo.
Nel giro di pochi istanti nella mente si sono susseguiti pensieri ed emozioni tra i più disparati tra loro. Dallo sconcerto, allo sgomento, al tremore, alla rassegnazione per l’ineluttabilità della circostanza, alla accettazione profonda, al sollievo.
Questo rapido e contratto processo indica chiaramente come i timori, le angosce, le preoccupazioni nascono prima di affrontare l’evento. Quando ci si decide ad accettare la sua ineluttabilità, quando ci si fida e ci si affida, mentre si opera la propria parte per fare del proprio meglio con i mezzi di cui si dispone – in questo caso guidare con prudenza, a velocità adeguata, con i fari antinebbia accesi, mantenere le distanze di sicurezza – si è nel mezzo del guado, o del viadotto, in questo caso. A quel punto, non c’è più spazio né tempo per pensieri o emozioni estranei alla situazione. Ci sono il respiro, la guida, lo sguardo, l’attenzione acuta, la presenza assoluta, il silenzio interiore. E già questo è un grande sollievo, perché sgombra lo spazio interiore da tutto ciò che è superfluo rispetto alla buona esecuzione dell’opera in corso e alla presenza assoluta, qui e ora.
E, come se non bastasse, quale coronamento di tutto ciò, nel momento in cui ci si accorge di avere attraversato il ponte incolumi, si finisce con l’accennare un piccolo sorriso, e a percepire un respiro più morbido e dilatato, dei muscoli più rilassati, mentre una parte di noi si fa beffa di come la mente possa costruire scenari fantasmatici per arrivare a crederli veri, condizionando il corpo a reagire di conseguenza, con tensioni, tremori, sudorazione, respiro contratto e affannoso.
Spesso e volentieri un pericolo, quando viene affrontato, non si rivela mai così terribile come ce lo si era dipinti. E ci si stupisce di essere stati in grado di mobilitare tutte le risorse utili per affrontarlo e magari anche superarlo egregiamente incolumi.
Dal libro: Lo zen per la vita quotidiana, Anna Fata, inedito.
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