La mia unica attività professionale è lo Yoga, però l’altro giorno è avvenuta un’eccezione.
Mi è stata chiesta una traduzione: ambiente universitario, amici di amici che non sentivo da anni, massima urgenza.
Un lavoro che non facevo da molto tempo, un introito inaspettato e non superfluo, un tema interessante: la maternità delle donne africane immigrate nel nord Italia.
Ho accettato e mi sono immersa nel flusso inconfondibile del tradurre, dove scompari e diventi un canale, uno strumento di passaggio, un fiume di passaparola.
Parole non interpellate da qualche decennio, affondate nella memoria del bilinguismo, si presentavano puntuali a fare il loro dovere, precise, con tutte le sfumature, intonazioni, connotazioni.
Rispettando i tempi strettissimi ho consegnato un buon lavoro, ma…
Prendendo accordi avevo fissato un importo “a cartella” e contato un numero approssimativo di cartelle… sbagliando il conteggio.
A queste ne sono state aggiunte altre e alla fine il lavoro si è rivelato circa il doppio del previsto.
Alla fine… perché prima ero totalmente immersa nella traduzione.
La docente autrice e responsabile del progetto mi chiama e dichiara che è stupita dell’errore e che l’importo del mio compenso corrisponderà a quanto comunicato inizialmente, più una pagina consegnata in un secondo momento.
Le faccio notare che il lavoro non corrisponde a questo, lo riconosce, ne sottolinea la qualità e consapevolmente, in maniera quasi esplicita, ribadisce la sua intenzione di strumentalizzare il mio errore iniziale.
E’ un muro, ha già deciso, non mi sente, busso, non apre varco né pertugio.
Le dico che internamente sono consapevole del valore di quel che ho fatto, che entrambi lo siamo, di riflettere e farmi sapere la sua decisione, che qualunque cosa andrà bene, ma che non posso discutere con qualcuno che non sta discutendo.
Parto per l’Eremo.
Al mio rientro trovo una mail che conferma il compenso iniquo.
Rispondo chiedendo, per cortesia, di devolvere l’importo ad un’associazione di aiuto alle donne.
Non riceverò altra risposta.
Cosa è successo in termini di identità?
Sicuramente c’è stata iper-reattività di fronte all’ingiustizia, alla prepotenza, alla violenza nella sua forma non fisica.
Ritrovo vecchi automatismi, fin da bambina reagivo, intervenivo, mediavo… non mi facevo i fatti miei…
E poi c’è stata anche, certamente, una parte di Francesca-che-ti-faccio-
Ma dietro, la spinta pulsante, calma, il sentire che ha inondato tutto di lucida tranquillità, che non ha lasciato strascichi o scarto di dubbio possibile, è stata semplicemente l’impossibilità di accettare quel denaro, di entrare in quel gioco, di alimentare il modello della prepotenza, del sopruso sistematico, dello sfruttamento scontato.
C’era la sfacciataggine dell’ingiustizia perpetrata abitualmente, deformata in diritto acquisito.
Mi sembra che siamo tutti responsabili, accettando le regole di qualsiasi gioco, anche solo con la complicità, anche solo col silenzio.
Ma siamo tutti liberi di non farlo, di rifiutare, di sottrarci o di lottare…
Ognuno a seconda dell’inclinazione della propria identità.
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Nel leggere il tuo racconto, Francesca, mi sento amareggiato per l’ingiustizia che hai subito e per il fatto che non sia apparsa possibile altra soluzione.
Il pensiero va anche a quella donna, che sta mettendo mano a un tema così delicato e importante come quello della maternità di donne immigrate.
Mi chiedo con che sguardo possa studiarlo e comprenderlo proprio lei, che ha trovato difficoltà a comprendere quell’ingiustizia nei tuoi confronti e a dialogare a questo proposito con te.
Penso a questo e.. per me è una nuova occasione per riflettere su quanto possa essere difficile in certi momenti comprendere anche cose assolutamente evidenti e stridenti.
Mi auguro di non incappare troppo spesso in dissonanze così marcate…
Francesca carissima, grazie per questa tua testimonianza, per come ti sei messa a nudo, e per come ciò sia stimolo ulteriore a mantenersi svegli. Ci sono tante microsituazioni, microaccadimenti nella vita in cui possiamo trovarci coinvolti nel gioco della prepotenza e dei muri eretti gratuitamente. Possiamo alimentarne questo meccanismo, come osservi tu, col silenzio, restando inerti, ma possiamo anche scegliere di sottrarci e di non assecondare queste perversioni. Posso solo immaginare “il sentire che ha inondato tutto di lucida tranquillità, che non ha lasciato strascichi o scarti di dubbio possibile…”, risuona così vera così essenziale come chiave di accesso alla libertà di essere e sentire sino in fondo. Grazie