Dice Enrico: “Il dolore, nei suoi diversi gradi di intensità è connaturato al nostro stato di “gocce separate dall’Oceano . Ma allora il dolore non è un accidente, non è un “errore di Dio”, non è un “bug”. Il dolore e la vita sono ineluttabilmente intrecciati o è possibile una vita senza dolore? Noi lo chiamiamo dolore perché siamo umani, fragili e sensibili mentre in realtà è solo il “colore” o “l’annodatura” oppure il “filo di contrasto” che disegna sull’”arazzo” della vita la nostra esistenza? Poco fa ho osservato gli occhi di un bambino morto a Gaza, c’era ancora la paura e il pianto dentro quegli occhi e mi sono chiesto “cosa” non c’è più? Mentre la mente piange e si ribella, mentre il cuore patisce insieme alla vittima, una sorta di mente distaccata e forse superiore, sorride. Sorride di un sorriso che comprende l’universo intero nella sua perfezione e dentro quella perfezione c’è anche lo sguardo impaurito che quel bambino ha lasciato sul suo viso primo di lasciare quel piccolo corpo. La mente continua a piangere, il cuore continua a compatire ma io cerco di aggrapparmi a quel sorriso che forse è lo stesso di quel bambino nel momento in cui si è ricongiunto all’Oceano.
La chiave è in questa successione: Mentre la mente piange e si ribella, mentre il cuore patisce insieme alla vittima, una sorta di mente distaccata e forse superiore, sorride.
Diversi livelli di sé e di comprensione hanno reazioni diverse: la mente piange; la coscienza, l’essere, “sorride”.
Ti chiedo: quando la mente/identità ha compreso anch’essa ciò che conduce la coscienza a “sorridere” sei certo che quell’identità soffrirà?
I termini sofferenza o dolore sono un po’ troppo generici e limitati per descrivere ciò che può accadere, sono adatti alle dinamiche di una identità non allineata al sentire: direi che è più corretto dire che una identità allineata al sentire prova compassione, una cosa piuttosto diversa dalla sofferenza.
La compassione è costituita di conoscenza, consapevolezza, comprensione, comunione, tenerezza, accettazione, profondo inchinarsi al disegno della vita.
Direi che il dolore non necessariamente è nostro compagno inseparabile ma che, quando in noi si amplia la comprensione e quindi il sentire, l’identità si ammanta di questo sentire e tutto l’essere unitario prova compassione.
associo la morte alla la fine tutto. così è. da vite e vite.
quando mi trovo di fronte a un bimbo morto mi sembra l’ingiustizia del mondo.
ma quel ‘sorride’ che si è destato in questa vita, in questo cammino chiamato consapevolezza, mi riporta alla realtà.
il corpo di quel bambino senza più vita, una forma che cambia.
mano a mano che il sentire si espande l’identità si ritrae ma ancora scalpita di fronte a un bimbo ucciso dalla guerra.