Evidenze di unità

E’ una conoscenza diffusa ed ampiamente condivisa, in ambito spirituale, il concetto che l’universo sia intrinsecamente Uno, interdipendente, indivisibile. Siamo parte di un Tutto, visto in contrapposizione alla dualità, ovvero alla frammentazione, all’illusione, alla materialità.
I cinesi chiamarono questo concetto “Tao”.

Tuttavia, il modo in cui spesso ce lo rappresentiamo usa paradossalmente gli strumenti della dualità, il che conduce a un paradosso: non esistendo nulla al di là del Tutto, non è possibile percepirlo come “qualcosa”. La percezione ha bisogno di una differenza da rilevare. O di un simbolo astratto, come il Tao.

Ma, per quanto, così rimaniamo nel regno delle idee. Un’idea che si somma ad altre idee astratte, illusorie, simboliche. E’ la nostra unica possibilità?
Fortunatamente, no. Nella dualità, nell’immanenza, possiamo trovare il limite della dualità stessa. Basta porsi le domande giuste…

Ad esempio: quand’è il momento preciso in cui una molecola di ossigeno smette di essere parte dell’aria, e fa invece parte integrante del sangue e quindi del nostro corpo?
Quando un sale minerale non è più parte del terreno e rientra invece a far parte dell’albero?
Se osserviamo il nostro corpo con uno zoom a livello atomico, dove potrà mai essere quella barriera, quel passaggio netto fra il “dentro” e il “fuori”?
Quando precisamente, aggiungendo granello dopo granello di sabbia, finalmente si sarà creato un mucchio? Grazie a quale specifico granello?

Se i cinesi non avessero avuto a disposizione solo la china capace di contorni netti, e non fossero stati costretti a disegnare un pallino nero nel bianco, e viceversa, per rappresentare l’indistinguibilità del confine fra yin e yang, probabilmente il Tao sarebbe stato disegnato in modo molto simile a questo:

Certo, esiste sicuramente un’area bianca. Ed esiste certamente un’area nera. Le percepiamo.
Ma dov’è il punto preciso in cui si passa dal bianco al nero? Non esiste.

La nostra percezione si basa sul fatto che, in virtù della distinzione di una cosa dall’altra, trascuriamo completamente una zona grigia (e già definirla è un ulteriore atto illusorio di percezione) ampia a piacere. E cio avviene quando noi attribuiamo un nome, un simbolo, un concetto, a una zona e alla sua zona complementare: tutto il resto è necessariamente fuori dal campo di percezione.

La cosa notevole è che le zone che si distinguono non fanno parte della realtà: la realtà è un continuum. Invece, ciò che possiamo percepire della realtà sono simboli, e sono arbitrari: in un certo senso, possiamo percepire solo ciò che pensiamo sia possibile, poiché siamo noi a focalizzare un certo aspetto di distinzione, a scegliere quali “differenze” sono rilevanti.

Questo è di grande importanza per comprendere come il concetto stesso di una sola realtà oggettiva sia illusorio. Esistono infinite varianti interpretative di un medesimo scenario. Teniamone conto nell’incontro con l’altro, consapevoli che ciò che vediamo riguarda noi stessi, e ci troveremo più facilmente in accordo con ciò che si manifesta.

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Francesca Bona

Molto chiaro, lineare.
La semplicità della comprensione, dell’evidenza.

Segnalo però che non visualizzo le immagini (anche se si possono facilmente intuire…)

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