Il giovane Krishnamurti, P.Jayakar (5)

Brano tratto e liberamente tradotto dal testo Krishnamurti: A Biography, di Pupul Jayakar

Krishnamurti era un bambino debole e soffriva di angosciosi attacchi di malaria.
In una fase della malattia ebbe convulsioni e per un anno intero fu tenuto a casa da scuola a causa dei sanguinamenti dal naso e dalla bocca.
K. aveva poco interesse nel lavoro scolastico e astratto, ma passava ore osservando le nuvole, le api, le formiche, gli insetti e con lo sguardo fisso in lontananza.
E’ stato descritto come cagionevole e mentalmente ritardato.
La sua vaghezza, le poche parole, la carenza di interesse nelle faccende mondane, gli occhi che fissavano il mondo, guardando al di là degli orizzonti, erano fraintesi dai suoi insegnanti e considerati mancanza di sviluppo mentale.
Il giovane Krishnamurti, a dispetto della sua apparente vaghezza, era estremamente interessato a tutti i dispositivi meccanici.
Un giorno non andò a scuola. Andata alla sua ricerca, sua madre lo trovò da solo in una stanza, totalmente assorbito nello smontare un orologio. Non si mosse dalla stanza, rifiutando qualsiasi cibo o bevanda, finché non ebbe smontato completamente l’orologio e, avendone compreso il funzionamento, risistemò gli ingranaggi al loro posto.

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5 commenti su “Il giovane Krishnamurti, P.Jayakar (5)”

  1. … forse la domanda di Elena suggeriva proprio questo, che la linea sottile fosse inesistente… quello che dici, Roberto, è una verità per la quale mi batto quotidianamente trasmettendo a Jerome il concetto che esistono solo vite corrispondenti ai tracciati interiori di ognuno, non parametri ai quali se non corrispondi sei sbagliato, però non si può negare che ogni società stabilisca criteri che scindono normale e non normale e finché questo avviene… legittima l’etichettatura e ci sarà qualcuno che si sentirà ritardato, accipicchia.

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  2. Ritardato rispetto a cosa? La norma? Cos’è la norma? Questi che gridano, fanno guerre, lasciano morire il loro prossimo di fame, ti fanno studiare per vent’anni idiozie? Chi-è-normale?
    Forse bisogna impostare la questione diversamente, non tra normale e non, senza cadere in un altra contrapposizione, in un altro schema duale.
    A me sembra, Elena, che che non si possa parlare di norma ma solo di vite che corrispondono a tracciati interiori, a disposizioni del sentire, come diciamo noi.
    Finito, non c’è altro che si possa aggiungere..

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