Etty Hillesum, Diario 1941-1943, Adelphi
“In me scorrono i grandi fiumi e s’innalzano le alte montagne. Dietro gli arbusti della mia irrequietezza e dei miei smarrimenti si stendono le vaste pianure della mia calma, e del mio abbandono. Tutti i paesaggi sono in me, ho tanto posto ora, in me c’è la terra e c’è anche il cielo”.
Il diario (Da http://it.wikipedia.org/wiki/Etty_Hillesum)
Il diario fu scritto ad Amsterdam, tra il 1941 e il 1943, probabilmente su indicazione dello psico-chirologo ebreo-tedesco Julius Spier (di cui fu inizialmente paziente), di cui parla abbondantemente (chiamandolo semplicemente “S.”) e con cui ebbe un forte legame; è un resoconto degli ultimi due anni della sua vita.
Diversamente che per Anna Frank, il suo diario venne pubblicato solo nel 1981.
“Altruismo radicale”
Il curatore del Diario, J.A. Gaarlandt, nella sua introduzione afferma che Etty Hillesumscrisse un “contro-dramma”: la sua liberazione individuale nel contesto del dramma dello sterminio nazista del popolo ebraico.
Lei passò da una situazione di: « Paura di vivere su tutta la linea. Cedimento completo. Mancanza di fiducia in me stessa. Repulsione. Paura. » (10 novembre 1941)
a una nuova coscienza, di distacco dai beni materiali, di “decantazione” delle esperienze vissute, di valorizzazione dei gesti quotidiani:
« Bene, accetto questa nuova certezza: vogliono il nostro totale annientamento. Ora lo so. Non darò fastidio con le mie paure, non sarò amareggiata se gli altri non capiranno cos’è in gioco per noi ebrei. […] Continuo a lavorare e a vivere con la stessa convinzione e trovo la vita ugualmente ricca di significato. » (3 luglio 1942)
Nel suo percorso di ricerca individuale la Hillesum trovò un nuovo atteggiamento verso la vita, che il curatore del Diario definisce “altruismo radicale”, nel tentativo di aiutare Dio il più possibile, abbandonarsi in lui senza la necessità di riconoscersi in una specifica confessione di fede.
“La vita è difficile, ma non è grave”
Un frammento significativo del suo Diario, scritto il 20 giugno 1942, in piena occupazione dell’Olanda:
« Trovo bella la vita, e mi sento libera. I cieli si stendono dentro di me come sopra di me. Credo in Dio e negli uomini e oso dirlo senza falso pudore. La vita è difficile, ma non è grave. Dobbiamo prendere sul serio il nostro lato serio, il resto verrà allora da sé: e “lavorare sé stessi” non è proprio una forma di d’individualismo malaticcio.
Una pace futura potrà esser veramente tale solo se prima sarà stata trovata da ognuno in sé stesso – se ogni uomo si sarà liberato dall’odio contro il prossimo, di qualunque razza o popolo, se avrà superato quest’odio e l’avrà trasformato in qualcosa di diverso, forse alla lunga in amore se non è chiedere troppo.
È l’unica soluzione possibile. E così potrei continuare per pagine e pagine. Quel pezzetto d’eternità che ci portiamo dentro può esser espresso in una parola come in dieci volumi.
Sono una persona felice e lodo questa vita, la lodo proprio, nell’anno del Signore 1942, l’ennesimo anno di guerra. » (Diario, pp. 126-127)