Qualche considerazione in merito a ciò che Umberto Eco ed Eugenio Scalfari hanno affermato negli ultimi due numeri dell’Espresso in merito alle nuove generazioni.
Eco afferma che i giovani vivono in una sorta di presente senza tempo privi di memoria storica e di capacità di ricordare e afferma che uno dei principali compiti della formazione è fornire le condizioni per un uso appropriato e pieno della memoria.
Scalfari sostiene che la madre di molti mali è internet che con la facilità di accesso all’immensa dotazione di dati di cui dispone non favorisce l’impegno, l’applicazione, lo sviluppo della volontà, delle capacità cognitive e interiori nei suoi utilizzatori.
Entrambi non considerano che affinché ci sia apprendimento deve esserci interesse.
Condivido la necessità di esercitare la memoria; condivido la necessità di non estrarre informazioni solo dal web ma anche dai libri frequentando le biblioteche, o dai giornali imparando a leggerli.
Penso che scarsi saranno i risultati se quello che invitiamo a leggere, a studiare, ad imparare a memoria non tocca l’interesse, l’interiorità dello studente.
Sta parlando la scuola, e la società contemporanea, all’interiore degli allievi? Non credo.
Stanno parlando gli insegnanti, i genitori all’interiore dei loro allievi e figli? Non credo.
Se vedo una crisi questa è, dal mio punto di vista, degli educatori innanzitutto, della società adulta così priva di interiore, di anima si sarebbe detto un tempo.
C’è una domanda interiore ed esistenziale in tutte le persone ma a questa non rispondono né la filosofia, né la pedagogia, né la didattica di questo tempo.
Non vedo la crisi di una generazione, non vedo neppure una grande minaccia in internet: vedo la crisi di un sistema basato sull’accumulazione dei saperi e dei beni.
Mi sembra che il futuro della formazione sia nelle mani di tutti: siamo chiamati a ridefinire il senso del nostro vivere ampiamente smarrito; la formazione non riguarda solo i giovani riguarda tutti noi che siamo largamente persi a noi stessi.
Il pericolo che vedo è soprattutto nella incapacità del mondo “adulto” di divenire consapevole della fine di una cultura, di una filosofia, di un modo di produrre, lavorare, consumare, di una disposizione nelle relazioni tra individui: questa cecità è il pericolo; è questa incapacità di sguardo che confina le nuove generazioni in un limbo, in una atemporalità, in una condizione esistenziale passiva essendo difficile appassionarsi alle sorti di un cadavere.
La pretesa di noi “adulti” di insegnare ai giovani ad appassionarsi alla realtà è patetica.
C’è qualcosa che possono fare assieme adulti e giovani: mettere in discussione i valori per cui viviamo.
Non c’è in me alcun pessimismo, so che ogni crisi di sistema produce dolore, so anche che molte sono le forze creative, le intelligenze, le sensibilità che allevano il nuovo.
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