La contemplazione implica l’inoltrarsi nel deserto delle proprie provenienze ed appartenenze

Colui/ei che vive l’esperienza della contemplazione, che scende in quella dimensione di vita, non lo fa in quanto cristiano, buddista o altro.
La contemplazione implica e impone la morte a sé, la scomparsa di sé: essere cristiani o buddisti o altro è leggere, interpretare, vivere la realtà attraverso un filtro che, se non scompare, se non viene lasciato andare, colora inevitabilmente lo sperimentato.
Il cammino incontro alla natura del proprio essere conduce all’integrazione della propria identità, all’apertura sulla dimensione della coscienza, all’abbandono di ogni residuo di sé nel grande spazio dell’esistere unitario: questo cammino è totalmente oltre le fedi, le filosofie, le credenze, le adesioni e colloca la persona in pieno deserto, lontano, molto lontano dal conosciuto, da ciò che l’identità ha sperimentato.
La contemplazione non implica l’aver fede/fiducia, è la fede/fiducia;
la contemplazione non apre sull’esperienza dell’amare, è l’amore.
La perdita, la scomparsa del soggetto che è la condizione imprescindibile perché si possa parlare di esperienza contemplativa, non salva niente: nudi giungiamo alla meta.

Immagine da: http://goo.gl/4rrXAf


 

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Elena

Più che mai attuale! Lasciar cadere i veli (o i mantelli…) dell’identità è il lavoro di una vita che via via diviene sempre più sottile e affinato. Prima cadono le armature, poi i mantelli, poi i teli, poi i veli e ancora infine rimangono le garze protettive.

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