Per molti anni ci siamo alimentati e dissetati alla fonte dell’amore che provavamo per il nostro partner: ci dava senso, esperienza, orizzonte.
Per tanto tempo il nostro lavoro è stato la nostra vita. Le nostre mansioni, la nostra funzione, le relazioni erano il nutrimento delle nostre giornate.
Quando tutto questo, e molto altro, viene meno, oscilliamo tra il non senso e la depressione che incombe.
Quando non abbiamo più adesioni a qualcosa e siamo privi di obbiettivi, di cosa si sostanzia il nostro vivere? Che cosa ci rimane?
Quello che abbiamo.
Quello che accade.
Quello che si presenta e ci chiede di essere vissuto.
Dobbiamo riconvertirci dall’essere protesi, dall’incessante edificazione di una interpretazione della realtà che ci gratifichi, al ciò che è, al ciò che accade.
Dal sogno dell’esserci, alla realtà dell’essere.
Immagine da http://goo.gl/t6xYtY
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Conosco quella ricerca, di senso, quella spinta, il bisogno di adesione, di conferma e di riconoscimento. Di lasciare un segno. E poi ancora qualcosa: qualcosa di cui magari non si conosce il nome, che non si sa nemmeno cosa possa essere, ma si avverte una certa mancanza. Insoddisfazione, irrequietezza. L’ho visto e ascoltato in me come nelle altre persone, lo osservo di continuo. E’ umano. Un processo naturale. Accade. Ma accade anche, che talvolta si apra una radura, un oceano affiori…dallo sguardo di una figlia, dal volo delle rondini, da una mano tesa sotto i portici, da un profumo di tregua e pace che permea ogni cosa. Ecco la discrezione. Ecco che sfuma il circo della presunzione egoica. Istanti di silenzio, di compassione, di amore che più non esige reciprocità