Nel minuscolo teatro quotidiano personale, rappresentiamo il nostro esserci con una profusione di parole, di segni e di simboli.
Bisognosi di sentirci vivi, calchiamo il piccolo palcoscenico senza curarci, spesso, né della qualità, né della quantità del rappresentato.
Un passo indietro ci farebbe bene: un silenzio in più, un segno in meno ci permetterebbero un maggiore contatto con il nostro interiore, con il sentire e ci permetterebbero di compenetrare più a fondo l’accadere.
Potrei aggiungere, sperando di non complicare troppo il ragionamento, che tutto ciò che è portato a rappresentazione parla di noi e solo di noi: è il nostro film e di esso siamo sceneggiatori, registi, attori, spettatori. Ci piace pensare che ci siano anche altri spettatori, ma questo è dubitabile.
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