Condotti dal sentire, un esempio

aperturaI suoi sono gesti senza apparente grandezza. Chiude le serrande per non far penetrare il freddo della notte.
Le accosta per riparare gli ultimi affreschi non deturpati dal tempo e dall’incuria. Le riapre perché la luce del giorno possa entrare nei corridoi lunghi e spogli di mobili. Spazza il pavimento. Lo ha sempre fatto.
Anche quando i saccheggiatori e i camorristi hanno trasformato la reggia di Carditello in un deposito di rottami e di spazzatura. Quando le erbacce sono diventate sterpaglia, che impedisce il passaggio nei vicoli laterali della tenuta, lui, custode volontario con l’autorizzazione del giudice, porta la sua gru per sradicare ciò che potrebbe danneggiare gli esterni del Real Sito. Raccoglie le gomme abbandonate delle automobili, come in una discarica, lungo la strada che conduce allo scrigno dei Borbone.
Tommaso Cestrone, pastore, non ha lavorato  per conto di privati o per incarico pubblico. Per anni ha scelto di custodire, a sue spese, uno dei piccoli grandi patrimoni del Sud.
«Il mio lavoro? Lo pago di tasca mia, come gli attrezzi che uso e nessuno mi ringrazia. La mattina mi sveglio alle quattro. Ce la faccio anche perché mio figlio mi dà una mano. Carditello deve vivere. Finché io vivo non me ne vado da qui», dichiara Cestrone in “Bella e perduta”, il film voluto da Pietro Marcello, nelle sale dal 19 novembre, per raccontare quell’Italia smarrita dove il singolo uomo non si arrende. Fino alla fine. E così è stato.
Il pastore di Carditello è stato ritrovato due anni fa, senza vita, colto da infarto la notte di Natale, poche ore dopo il suo rientro nella casa accanto alla reggia. Questo film adesso è una medaglia alla memoria, il tributo postumo a un grande italiano. «La vita dell’angelo di Carditello è un paradosso», spiega Pietro Marcello, il regista originario di Caserta. «Lui si chiedeva: “è mai possibile che questo posto sia nelle mani di un contadino?”.
La semplicità del fare di Tommaso è una lezione civica, in conflitto con l’atteggiamento passivo di chi assiste al declino senza muovere un dito. Sapeva organizzare e governare gli spazi in un’area diventata negli anni terra dei fuochi, divorata da discariche abusive e dai binari dell’ Alta velocità. Di fronte a un disastro generale, di cui la reggia è metafora nell’epicentro del potere criminale della camorra, un singolo, su un territorio così vasto,
rovescia i fronti. È stato un eroe epico, un esempio di cittadino che si ribella con la sua vita». […]

chiusura

Dall’Espresso n° 46 del 19 novembre 2015. Autrice: Emanuela Genovese


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