La radice dell’odio

E’ nell’ingiustizia, nella sopraffazione, nelle condizioni culturali e sociali l’origine dell’odio che sparge il sangue di molti su tutto il pianeta?
Non credo, questi sono fattori che possono generare frustrazione interiore e necessità di ribellione, di giustizia, di cambiamenti anche caotici e violenti, ma l’odio è un’altra cosa, un’altra esperienza.
A me sembra di ravvedere nella genesi interiore del terrorismo attuale la matrice dell’odio, esperienza esistenziale precisa, composta di emozione e di pensiero, supportata da determinate condizioni di coscienza.
Quali sono queste condizioni di coscienza? Un limitato sentire. L’odio prolifera in assenza di adeguate comprensioni, in presenza di un sentire limitato, primario.
Più il sentire si amplia, meno trova spazio l’allevamento dell’odio: un sentire ampio conosce l’altro aspetto dell’odio, l’amore.
All’inizio del cammino umano, una coscienza con pochi strumenti di comprensione e con un sentire molto limitato, sente interiormente la spinta di una forza che la conduce alla affermazione dei suoi bisogni e del suo punto di vista e questo avviene in maniera indipendente dal diritto dell’altro da sé, senza considerare che cosa produce nell’altro da sé.
L’inizio del cammino è caratterizzato dalla competizione, dalla affermazione di sé, dalla sopraffazione sull’altro alimentate da emozioni quali l’odio, la rivalità, la gelosia, la brama di possesso.
Questa primarietà interiore si ammanta di ideologia, di pensiero rigido, sclerotico, stereotipato. L’insieme di coscienza primaria – emozioni primarie – pensiero ad una sola direzione generano rapporti umani e sociali violenti.
Il cammino di ogni essere umano va da odio ad amore: tutti abbiamo conosciuto l’odio, lo abbiamo frequentato e allevato e poi, infine, lo abbiamo superato.
Nel mentre facevamo esperienza di quella connotazione di un’unica forza che ci genera e ci sostiene, l’altro aspetto di essa cominciava ad affacciarsi nella nostra vita: ci alfabetizzavamo all’amore attraverso l’affetto per un partner e per i figli, attraverso l’esperienza sessuale, attraverso il dare e il ricevere nella famiglia, nel clan, nel lavoro, nelle relazioni in genere.
Il mondo appare ai miei occhi come un immensa officina dove gli operai stanno lavorando su quell’unica forza che ci conduce e molti ne sperimentano ancora, per un loro limite di esperienza e comprensione, l’aspetto dell’odio, altri coltivano l’altro aspetto, quello della cura, del provvedere, del collaborare, dell’amare insomma.
Non si passa da odio ad amore attraverso un gesto della volontà e, purtroppo, non si può nemmeno insegnare l’amore perché è una pianta che cresce solo quando trova il terreno adatto. Ma, certo, si può testimoniare l’amore, lo si può praticare, si possono rendere visibili i suoi frutti nella speranza che servano da esempio, da orientamento, da stimolo.
L’odio prepara il terreno che domani vedrà crescere la pianta dell’amore. Se abbiamo questa comprensione esistenziale dei ritmi del procedere delle coscienze, allora possiamo sviluppare le giuste risposte, quelle più adeguate, quelle più efficaci, quelle che ci permettono di concedere ad una parte dell’umanità l’esperienza dell’odio senza nuocere al proprio prossimo, o con un danno relativo.
Noi vediamo i danni del terrorismo, sono evidenti. Vediamo i danni di quel sistema primario ed infantile che chiamiamo capitalismo? Non credo, siamo troppo intenti a nutrirci della nullità che ci propone.
Vogliamo estirpare la pianta dell’odio, ma non vediamo dove opera: indichiamo ad oriente e non vediamo in casa nostra, sotto ai nostri piedi, nel nostro intimo.
Non comprendiamo il simbolo dei fatti che accadono. Parlano di odio e noi reagiamo bombardando. Odio su odio; odio contro odio.
Ci sembra giusto, ragionevole e non vediamo che quella forza ancora opera in noi, che non l’abbiamo compresa: ancora non abbiamo conosciuto abbastanza l’altro volto di essa, no, non l’abbiamo né conosciuto, né frequentato abbastanza.
Ci piace ergerci a maestri e ci sembra di essere evoluti: se ci si osserva da vicino, si vede la corruzione delle nostre intenzioni e delle nostre pratiche; noi non abbiamo bisogno di imbracciare il kalashnikov, abbiamo strumenti molto più sofisticati, ma la nostra intenzione è diversa, è connotata d’amore, o ha la stessa primarietà di quella dei terroristi?
Siamo migliori o abbiamo solo modi più raffinati?
La mia risposta è che abbiamo modi più raffinati: il nostro egoismo – che è la matrice prima dell’odio – prende, ad esempio, la forma dell’inquinamento e quanti ne uccide questo in forme più nascoste, ma non meno impietose?
La nostra ignoranza, il nostro spirito di prevaricazione prende la forma del libero scambio che affama il produttore asiatico, o africano, o nostrano e satolla la grande impresa transnazionale.
Noi non abbiamo bisogno di odiare in modo diretto, abbiamo sofisticato il nostro pensiero al punto da non frequentare più l’odio ma, nei fatti lo pratichiamo senza sosta.
Il seme dell’odio germoglia nell’intimo delle persone e non conosce differenza di razza e di religione e così vale per il seme dell’amore.
Mi sembra ci sia una sola soluzione: una riflessione sulla vera portata interiore ed esistenziale dei fenomeni che attraversano questo tempo storico;
una presa di consapevolezza di tutte le responsabilità, di tutti i soggetti;
una risposta all’odio non seminando altro odio, ma sviluppando l’altro volto di quella forza che in alcuni si mostra come odio e in altri come amore: sviluppando collaborazione, cooperazione, sostenendo le forze più nobili dell’animo umano, contenendo e addomesticando quelle più ostili e rozze.

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Anna Fata

Caro Roberto,
sono in pieno accordo con tutte le tue parole, tranne questa espressione:
“tutti abbiamo conosciuto l’odio, lo abbiamo frequentato e allevato e poi, infine, lo abbiamo superato”.

No, l’odio non si supera mai una volta per tutte.
Nessuno di noi ne è definitivamente immune.
E posso portare infinite testimonianze in merito …

Con affetto

Anna

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