Ho notato che queste parole di Vittorio Sgarbi hanno trovato numerosi consensi anche tra persone che stimo: questo mi sorprende e provo ad avviare una riflessione.
Nella sostanza Sgarbi dice: “Siamo fino in fondo noi stessi! Tu hai la tua religione e la tua cultura, io la mia: viviamole entrambi fino in fondo senza timore e senza reticenze. Piuttosto che rinunciare a parti di noi, come impone l’integrazione, coltiviamo la disintegrazione..”.
Non voglio discutere degli aspetti sociologici della questione, ma di quelli esistenziali.
Essere quel che si é: bene, e cosa si è?
Noi diciamo che si è coscienza e che questa genera le scene del nostro vivere: quelle scene sono condotte a rappresentazione attraverso la mente, le emozioni, il corpo e coinvolgono nella relazione l’altro da noi. L’altro è anch’esso coscienza, mente, emozione, corpo-azione.
Le esperienze avvengono, la grandissima parte, nella relazione con l’altro e producono vari gradi di conoscenza, consapevolezza, comprensione.
La persona cambia in continuazione in relazione alle comprensioni che mano a mano avvengono e si ampliano: cambiamo perché conoscenza e consapevolezza assieme generano comprensione, ovvero inscrivono nel corpo della coscienza nuovi atomi di sentire che ampliano e strutturano l’essere della coscienza.
Se siamo coscienza, siamo in continuo divenire. Se l’identità è lo specchio relativo della coscienza, allora anche l’identità è in continuo divenire.
Dunque siamo chi? Per dire che siamo qualcosa di definito dobbiamo dare risalto al nostro pensiero, a ciò che questo ha codificato, al racconto, alla narrazione, alla interpretazione di noi: queste non sono in continuo divenire, ma subiscono un processo di definizione e strutturazione che rimane stabile anche per decenni e va a costituire archetipi che possono permanere nei secoli e nei millenni.
Quando parliamo di identità culturale e sociale in genere facciamo riferimento a degli archetipi che condividiamo; quando parliamo di identità personale intendiamo una lettura coerente nel tempo di alcune nostre caratteristiche e disposizioni.
In entrambi i casi non parliamo della freschezza dell’accadere che produce senza sosta comprensioni di varia ampiezza: parliamo di letture e interpretazioni della mente all’interno della sua necessità di definire, strutturare, etichettare, giudicare.
Le relazioni tra persone e culture sono limitate e, non di rado, avvelenate da questa modalità della mente-identità; è questa modalità che genera il conflitto evidenziando le differenze: il “tu sei tu e io sono io” genera mostri.
Dal mio punto di vista non bisogna partire da questo, ma dalla consapevolezza di fondo che tutto ciò che posso apprendere e comprendere nel sentire lo debbo alla relazione con te: su questa base non c’è l’enfatizzazione di cammini personali e sociali paralleli e autonomi, ma la più profonda integrazione dei tracciati esistenziali.
Senza di te che mi permetti di conoscermi, nulla sarei e nulla comprenderei.
Questa logica conduce all’affermazione di aspetti personali e sociali e al loro continuo superamento; si formano esperienze e visioni e vengono superate; si generano religioni e culture e vengono superate: tutto scorre, tutto nasce e muore perché tutto è apprendimento e comprensione che nulla lascia intonso nel tempo.
Solo il pensiero viene codificato e tramandato e può divenire fissità, fattori di identificazione, di separazione e di contrapposizione: il sentire costantemente muta, diviene e tende all’unificazione.
Se debbo pensare ad un modello relazionale personale e sociale, lo penso fondato sul sentire, non sul pensare per quanto alto e nobile come quello delle religioni, delle filosofie, delle morali.
Se il modello è fondato sul sentire, il pensiero religioso, filosofico, morale sarà sempre relativo perché senza sosta mutato da quel sentire che lo permea, lo sostiene, lo conduce.
Se il modello è basato sul pensiero religioso, filosofico, morale senza comprendere il proprio centro-radice nel sentire, ciò che ci attende è la sclerosi, la divisione, la contrapposizione, il conflitto, il giudizio che non ci fa incontrare, né evolvere.
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Accoglo in pieno ciò che dici, il problema di fondo che si pone è quello di un cambio radicale di paradigma che la nostra società ha bisogno di affrontare: da una cosiddetta personalità identitaria (io sono ciò che sono) che tanto viene enfatizzata ad una NON personalità, da una fissità ad un continuo cambiamento ad una continua capacità e disponibilità a mettersi in discussione…come spesso si dice a morire a noi stessi.