Può un cammino interiore, spirituale ed esistenziale, non appoggiare su una pratica meditativa quotidiana?
Non credo, non fino ad un certo punto almeno. Vedo, purtroppo, molta approssimazione e molto dilettantismo su questo tema; molta superficialità.
Se si ha caro il proprio cammino, si è anche compreso che è necessario un ancoraggio quotidiano, un fermarsi e risiedere, un azzerare i contenuti della mente e di tutto ciò che l’identità tende ad aggiungere al reale, al ciò che è.
Per un lungo tratto di strada, fino a quando non si è stabilizzato in profondità l’atteggiamento meditativo, si ha questa necessità di fermarsi, di meditare, di resettare l’intero sistema: è una necessità quotidiana e solo nella routine dei giorni la pratica libera il potenziale che contiene e informa le nostre ore, e plasma il nostro interiore.
Solo nella ripetizione, solo nel ritmo dei giorni sempre uguali questo accade: nella routine si dischiude la realtà e la pratica che ci conduce attraverso la dedizione, lo svuotamento di senso, la noia, la gratuità, ci apre passo dopo passo gli occhi su quel che c’è oltre il velo del racconto.
Un’amarezza mi coglie: riverso fiumi di parole e di esperienze su persone che nel loro quotidiano non trovano un tempo, anche minore, per fermarsi e coltivare ciò che di più prezioso hanno. Se, giorno dopo giorno, ciascuno non costruisce le tessere della propria consapevolezza e del proprio risiedere, chi lo farà al suo posto e che senso ha, periodicamente, il venire in questo eremo ad attingere qualcosa che non si custodisce con cura nel proprio giorno?
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Concordo pienamente,
la pratica quotidiana ci mette di fronte al limite, alla pigrizia, costringendoci a temprare il carattere attraverso il coraggio, necessario per muovere il primo passo e la determinazione, fondamentale per tenere alto il proposito.
Magari proprio per questo scappiamo davanti ad impegni costanti, la superficialità nell’agire ci serve per evitare di specchiarci nei nostri limiti.
Altro tema fondamentale è quanto sia importante l’obiettivo. Con il passare degli anni ho intuito che se in un periodo iniziale è fondamentale, poiché alimenta la motivazione, successivamente diviene un ostacolo. Forse occorre praticare semplicemente “per praticare” e basta ma…non ho ancora ben compreso quindi 🙂
un saluto
La domanda mi interpella, quanto tempo dedico nel mio quotidiano alla cosa più preziosa che ho?
Ed è proprio come dici.
Se riesco a portare un poco dell’atteggiamento meditativo nel mio quotidiano ciò è dovuto a un lavoro pregresso di anni con un martellamento quotidiano di meditazione, solo così ho potuto accedere oggi a quelle piccole nicchie di non tempo e di ascolto in cui sorge l’atteggiamento meditativo.
Io poi sono un caso a parte, ho la testa dura e ho dovuto martellarla molto bene sull’incudine per renderla un po’ più fluida, flessibile e duttile, però credo che siamo in generale così tanto disabituati all’ascolto di noi che pensare di accedere ad un atteggiamento meditativo quotidiano bypassando un certo periodo di sforzo e di dedizione sia tanto ma tanto difficile perché semplicemente non si vede e basta.
Credo che potrebbe giovare ricordare più spesso che una pratica quotidiana non può essere dimenticata e che un riordino delle priorità non possono essere tralasciate (sto scrivendo con Sandra) e che la vita potrebbe cambiare.
Il problema di fondo è che le persone non vogliono lasciare andare i piccoli grandi attaccamenti quotidiani che una pratica costante farebbe vedere dando la possibilità e la forza di sradicare.
Questo è il punto essenziale.