E’ il sentire relativo, quello proprio degli umani e degli altri esseri viventi, che crea la realtà.
Quel sentire contiene nel suo dna un programma che lo orienta: “provengo da un sentire più limitato e sono in continuo ampliamento”.
I sentire relativi costituiscono il sentire assoluto il quale non ha quel programma, ma è la realtà compiuta, infinita ed eterna del sentire.
Il sentire assoluto non diviene e non crea, non ha domande, non cerca risposte.
Il sentire relativo, in virtù di quella sua disposizione-programma di fondo, genera il divenire e le domande, cerca le risposte.
Il sentire relativo finché ha necessità di sperimentare attraverso i corpi transitori (mente-emozione-fisico), crea la realtà spazio temporale e, in essa, l’esperienza dei processi d’esistere ne determina l’ampiezza.
Il sentire relativo che non ha più necessità di sperimentare attraverso lo spazio e il tempo, genera un’altra realtà nel mondo del sentire la quale lo conduce al superamento delle sue limitazioni, dunque diviene e ha una domanda che lo muove e una necessità di risposta anche oltre il ciclo delle incarnazioni.
Tutto ciò che esiste, su tutti i piani, è generato dal limite del sentire e dal programma che lo informa.
Ripeto: non il sentire assoluto crea la realtà, ma il sentire relativo all’interno delle leggi date dal sentire assoluto.
Il cammino dell’umano è all’interno di questa forbice: all’inizio è pieno di domande e di bisogni, man mano che il suo sentire si amplia questi si riducono fino ad essere residuali.
Questo non significa che alla fine del suo cammino incarnativo, l’umano ha conseguito il sentire assoluto: significa solo che le domande e le risposte che sorgono dal proprio intimo non hanno più l’ambiente vibratorio che le possa generare e soddisfare.
Una volta abbandonato il ciclo delle nascite e delle morti, quando il suo corpo più denso sarà il corpo della coscienza, allora si troverà nuovamente a provenire da e ad andare verso.
La domanda e il bisogno creano dunque la realtà.
Questa consapevolezza deve essere coltivata in sommo grado nell’ambiente spirituale, nella via: chi guida, il maestro, ha “domande” e cerca “risposte” relative al proprio sentire acquisito; chi segue, il discepolo, ha l’indagare proprio al suo sentire.
Il maestro e il discepolo, entrando in relazione, apprendono grazie ad essa ciascuno ciò che è loro necessario.
Più ampio è il sentire, minore la possibilità che trovi risposte nel mondo del divenire, dell’incarnazione: il maestro tende a veder scomparire le proprie domande e la relativa necessità di risposte, tende a non indagare più il mondo dei fenomeni ma coltiva il mondo del sentire, quello indaga, quello conosce, con quello si confronta.
Il discepolo è, in virtù di un sentire più limitato, immerso ancora nel divenire e nella possibilità di estrarne senso: è il discepolo che pone le domande al maestro, non viceversa. La realtà di sentire più limitata pone le domande, si rivolge ad accogliere le risposte da quella più vasta.
Questo è l’ordine delle cose e questo accade da sempre in tutte le vie interiori e spirituali.
Se il discepolo non pone domande, non ha bisogni espressi ed esposti, non c’è relazione e non viene generata risposta, non si crea realtà in quella relazione: è la domanda che induce il maestro a rispondere ed è la risposta che configura la realtà che il discepolo ha innescato.
La domanda estrae la risposta dall’ordine dello stare; il bisogno si nutre della risposta e delle conseguenze di essa nell’intimo personale e attiva le scene del vivere.
La domanda tiene insieme la vibrazione della risposta con i dati posseduti del reale e informa una nuova realtà più avanzata.
La risposta offre una possibilità di indagine, di consapevolezza, di comprensione: La domanda estrae una possibilità di esperienza da ciò che viene prefigurato dalla risposta.
Nella via spirituale, in famiglia, nella professione c’è sempre una domanda che attiva una risposta e un combinarsi degli elementi che generano la realtà.
Tutti siamo discepoli e maestri di tutti.
Ma, quando il discepolo ha una domanda silente, quando si presenta al cospetto del maestro ma non esprime, non articola la propria domanda, non da forma al proprio bisogno, che cosa accade allora?
Se non avesse più domande, perché andare presso il maestro?
Se ha domande che non trovano più una formulazione, né hanno bisogno di una risposta convenzionale, dovrebbe dichiararlo: mi basta il silenzio, la condivisione del sentire che permea l’ambiente.
Se il discepolo non dichiara il proprio stato e non si assume la responsabilità di questo, può sentirsi rifiutato dal maestro la cui funzione viene attivata dalla responsabilità che il discepolo è disposto ad assumersi.
Oppure, in presenza di un maestro dedito in particolare alla compassione, può indurre questo a manifestare aspetti della realtà, ma questa operazione non è particolarmente sana e la realtà così creata, non essendo generata da una domanda esplicita, può avere le caratteristiche proprie della gratificazione egoica per il discepolo, più che la portata creativa di una verità relativa capace di cambiare il corso del vivere.
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