Una ecologia esistenziale

Gettare le basi di una ecologia personale fondata sulla consapevolezza del sentire che ci guida e delle dinamiche dell’identità che ci condizionano: una ecologia esistenziale.
Quali spinte ricevo dalla coscienza? Dove mi conduce attraverso le scene del quotidiano che mi propone, le persone che mi permette di incontrare, i successi e gli insuccessi che mi accompagnano nel quotidiano?
Ho un contatto con il sentire? Se non lo ho, non posso pensare a nessuna ecologia esistenziale, devo costruirlo, devo imparare ad ascoltare ed osservare l’interiore e i simboli attraverso cui si manifesta nel quotidiano.
Questo è il primo passo: divenire attenti, consapevoli, dediti all’osservazione, all’ascolto, alla non aspettativa, al non giudizio.
Il secondo passo costitutivo di una ecologia esistenziale è l’adozione di un paradigma interpretativo di ciò che sono e mi accade, di ciò che sono gli altri, di ciò che è il mondo e vi accade, che spieghi i fatti non nella luce della vittima-carnefice, ma in quella dell’artefice-responsabile; non nella logica della morale, ma in quella della consapevolezza della dinamica egoismo-altruismo.
Il terzo passo è costruire una igiene della manifestazione e della ricezione:
– quanto sono in balia del mio protagonismo?
-quanto ho bisogno di essere accolto e accettato?
-quanto mi faccio carico di ciò che non mi compete?
– quanto confondo il tuo ed il mio?
-quanto erigo barriere immotivate tra te e me?
-quanto mi condiziona il mio egoismo?
A partire da tutto ciò posso osservare le intenzioni, i pensieri le parole, le emozioni, i gesti e le azioni:
-da cosa sono mossi, come si articolano e prendono forma, come giungono all’altro e cosa portano con sé?
-cosa mi restituiscono nello specchio costituito dalla reazione dell’altro?
Il quotidiano è fatto di piccole cose, dietro ognuna di esse c’è una disposizione interiore che debbo conoscere e gestire: ogni intenzione coltivata, ogni pensiero alimentato, ogni emozione veicolata, ogni azione compiuta generano equilibrio e armonia, o disequilibrio o, in alcuni casi, avvelenano l’ambiente interiore, e non solo quello.
Sto avvelenando il mio ecosistema con questi pensieri, con queste emozioni?
Cosa produce la mia paura? E cosa la mia brama? E cosa il mio egoismo?
E quanto dovrò faticare per ricostruire un equilibrio?
Il quotidiano ci vede muratori sull’impalcatura: aggiungiamo mattoni all’edificio dell’equilibrio con cura e perizia, con consapevolezza e senso della misura; oppure costruiamo con mattoni non adatti, con calce impropria mura che ci crolleranno addosso?


Se vuoi puoi iscriverti alla newsletter “Il Sentiero del mese” con gli appuntamenti, i post pubblicati di recente, la vita nel Sentiero contemplativo.
Qui gli aggiornamenti quotidiani.

 

Sottoscrivi
Notificami
guest

2 Commenti
Newest
Oldest Most Voted
Inline Feedbacks
Vedi tutti commenti
Catia Belacchi

Mi sto accorgendo, per quanto mi riguarda, che dopo anni di percorso, pur avendo interiorizzato il paradigma, cado nel rischio di dare per scontati alcuni comportamenti e di non prestare la giusta attenzione all’accadere. E’ qualcosa su cui devo ancora lavorare.

sandra

Queste parole sono di fondamentale importanza!
La vita è fatta di poco, di piccole cose, di quello che alla mente può apparire un niente… eppure è dietro questo “niente” che si nascondono le paure, gli attaccamenti, i moti egoici che inevitabilmente inquinano il nostro procedere. E ancora questo “niente” ci dà la possibilità di osare: di dire quel sì che mai prima avremmo detto e quel no così difficile da tirare fuori. Un percorso di conoscenza inevitabilmente ci cambia dentro, ed altrettanto inevitabilmente cambia il mondo estriore (possono cambiare rapporti, amicizie, lavoro, modi di fare, di dire, di vestire, di mangiare…), se tutto ciò non avviene, certo può anche succedere, la persona deve però aprire bene gli occhi e interrogarsi, perchè il rischio è di tenere un piede sulla barca e uno sulla riva e se la barca prende il largo inevitabilmente cadrà in acqua…

2
0
Vuoi commentare?x