Verso la libertà interiore

Le domande di Maya (a partire dalla lettura del libro L’essenziale).

Se non c’è l’agente, non c’è la realtà?

Chi è l’agente? La coscienza? L’identità?
Se non c’è identità – il soggetto che si attribuisce l’accadere – c’è solo l’accadere senza attribuzione, pura neutralità (così come è possibile all’umano). E’ la vita che vive l’iniziato/a, colui/ei che è giunto alla fine del proprio cammino incarnativo. La realtà è presente e si manifesta con le logiche del divenire, ma non c’è un soggetto che dice: “Questo è mio!”
Va notato che finché c’è vita incarnata c’è sempre un tasso di identità, magari molto ridotto, per la ragione molto semplice che essendoci i veicoli mentale, astrale e fisico, comunque questi generano un’immagine di sé. Che l’iniziato/illuminato non abbia alcun grado di identità, è pura illusione e appartiene alla mitologia dello spirituale.
Se non c’è coscienza non c’è realtà, perché è la coscienza che la crea “sentendola” e poi proiettandola nel divenire attraverso i suoi corpi.

Quando ho la sensazione che le intenzioni della persona che sta davanti a me non corrispondono alle parole che mi sta dicendo è la mia realtà che si manifesta ( visto che non ci sono cose oggettive) e tutto è mia interpretazione in base al mio grado di consapevolezza? Quindi la mia coscienza attiva la scena della bugia che io percepisco?

La coscienza crea la realtà soggettiva, quindi crea anche la scena dell’altro che mente e di noi che siamo consapevoli del suo mentire.
La domanda successiva potrebbe essere: “Perché ho bisogno di confrontarmi con il mentire dell’altro? Cosa mi insegna e mi indica?”

Se non c’è determinismo né libero arbitrio allora una scelta vale l’altra? Ma se ci sono vie più dritte..!?

Tutta l’acqua va al mare; tutti tornano a casa; ciascuno comprenderà a tempo debito che la realtà è unitaria e che nessuno è separato.
Come sorgono queste comprensioni? Semplicemente vivendo. La chiave della libertà? Vivere.
Il vivere è già processo di liberazione e di unificazione: tutto quello che vi aggiungiamo è frutto dell’umano e del suo protagonismo, della sua necessità di credersi artefice dei processi.
La persona consapevole di sé giunge prima alla meta? No, il tempo è soggettivo, il film è soggettivo: arrivare prima, arrivare dopo rispetto a che cosa?
Possiamo invece dire che la persona che si conosce e che è consapevole procederà nella sua esperienza umana con un minor tasso di dolore, perché?
Perché può vedere i conflitti, le resistenze, le paure e non alimentarli: può imparare – perché la vita è una grande officina di apprendimento – con un minor tasso di resistenza e di opposizione e quindi può generare meno dolore per sé e per quelli con cui procede.

Quando dici conflitto orientale identità/ mente si intende il negare l’utile funzione dell’ego?

Si, l’oriente ha molto riflettuto e indagato sulla natura dell’io/ego e sul suo essere di ostacolo. Noi guardiamo la realtà da un altro punto di vista: così come ogni fatto ci permette di conoscere, di divenire consapevoli e di comprendere, allo stesso modo la natura dell’ego ci permette, con i veli e le distorsioni/limitazioni che introduce di conoscere, divenire consapevoli, comprendere la realtà personale e quella universale.
Consideriamo i limiti dell’ego, come tutti i limiti, delle opportunità che ci liberano, non delle ottusità che ci bloccano.

Cos’è esattamente il sentire?

Il contenuto del corpo akasico, o corpo della coscienza. La materia/vibrazione di cui quel corpo, e il mondo in cui risiede, sono costituiti.
Il sentire è costituito da atomi di sentire e questi sono il frutto delle comprensioni. Le comprensioni vengono generate attraverso le esperienze incarnative e la consapevolezza di esse.
Solo nella incarnazione, tra vita e morte, c’è possibilità di comprendere, solo quando sono presenti i tre veicoli transitori della coscienza: mentale, astrale, fisico.
Dopo la morte del veicolo fisico non c’è più possibilità di comprensione: in quella condizione i dati della vita appena vissuta vengo elaborati e sistemati ma non può esserci nuova comprensione.

Dire che vivere è affrontare il non compreso mi dà una grande energia rispetto a dire che vivere è saper affrontare le difficoltà, perché dalla prima ne ricavo che sto andando in un posto preciso e sicuramente quello giusto, la seconda invece mi dà la sensazione di non avere una direzione e che vivere sia una lotta a chi resiste di più!

E’ come tu dici: non si tratta di affrontare alcuna lotta ma di vivere tutte le scene del nostro quotidiano con tutta l’attenzione, la consapevolezza, la dedizione  a noi possibili: da questo vivere fino in fondo trarremo gli apprendimenti necessari alla nostra coscienza e alla nostra identità.
Ciascuna delle scene vissute, di qualunque natura sia, ci renderà persone migliori.
Una direzione di vita non è mai sbagliata: tutta l’acqua va al mare. Con questa fiducia guardiamo con occhi chiari a ciò che ci attende.


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Alessandro

Grazie Maya per aver poste queste domande le cui risposte sono un ripasso utile per tutti.

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