La crisi è il frutto della relazione tra coscienza ed identità all’interno dei processi del vivere.
Quando l’identità resiste e cerca di imporre una sua direzione, prima o poi sopraggiunge una crisi, un attrito, un rompersi dell’equilibrio deviato: questa crisi evolve spesso nel dolore e nella fatica.
Quando coscienza ed identità sono sufficientemente allineate, la crisi è continua, l’equilibrio raggiunto viene sistematicamente scalzato: questo processo può provocare disorientamento, ma non necessariamente dolore e fatica.
Sempre la crisi rompe un equilibrio, o un pseudo equilibrio; sempre ciò che era credibile non lo è più, ciò che era stabile vacilla.
Che si tratti di affetti, di lavoro o della via spirituale poco importa: tutti sperimentano la crisi, ma quasi nessuno ne possiede il paradigma, o la sa maneggiare, eppure la vita delle persone, dei paesi, del pianeta è una crisi senza fine, è l’esperienza più prossima a ciascuno di noi, più quotidiana e feriale.
Perché non abbiamo sviluppato una cultura della crisi? Fondamentalmente perché avvertiamo che ogni crisi è svelante e non sono molti quelli che sono pronti a vedere oltre i veli: quelli che non sono pronti, amano la stabilità effimera del non conoscere e dell’appoggiare sull’ovvio che presumono di conoscere.
Un cammino come il Sentiero produce crisi intenzionalmente: non che ci mettiamo a tirar giù mattoni da ciò che il nostro prossimo ha edificato, non si tratta di questo.
Un cammino nella coscienza, nel sentire, produce l’irradiazione del compreso e tutto attorno a sé ha due effetti:
– conferisce senso e stabilità al processo del conoscere e del divenire consapevoli;
– mina la stabilità aleatoria conseguita.
Se l’esperienza nel sentire, l’attività creativa di una coscienza non muta l’ordine delle cose, ci sono dei dubbi sulla sua natura.
La coscienza senza sosta genera esperienze e da queste estrae dati e comprensioni: le esperienze svelano il compreso e il non compreso e sempre sono il ponte verso un ampliamento delle comprensione e del sentire.
Nulla rimane fermo. Un cammino interiore produce ed alimenta crisi.
Ogni crisi si alterna a fasi di stabilità e a nuove crisi.
Ogni cosa trovata viene perduta e anche quando ogni ricerca è finita, tutto senza sosta nasce e muore nella luce dell’impermanenza, dell’effimero illusorio.
Una coscienza produce crisi in una mente/identità che tiene a conservare i suoi oggetti: ogni identificazione è soggetta all’azione erosiva del sentire che la mina nella sua pretesa di durare.
Riconoscere nella crisi il sale della vita significa smettere di remare contro il processo del cambiamento che non conosce soste, che non può arrestarsi perché se ogni cosa non cambia, non siamo più nello stato di vita, ma in quello di morte.
Siamo nello stato di sclerosi, di cristallizzazione. Le somatizzazioni sono il segno esteriore del processo interiore della crisi che non è stato ascoltato, osservato, accolto e condotto a comprensione.
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Riconosco che è così altrimenti ci si muove nel mondo come automi.
Grazie.
Grazie per queste riflessioni illuminanti. Quanti conflitti nella nostra vita nascono proprio perché non siamo in grado di accettare i cambiamenti contrari alle nostre aspettative. Una cultura della crisi consentirebbe di aprire le nostre menti all’imprevedibile, all’imponderabile, al dinamismo della vita. Quel “vivere fino in fondo” a cui accenniamo spesso è anche questo: prontezza ad accogliere il cambiamento e a danzare con esso.