Che immagine edifica dentro di sé il discepolo del maestro? E il maestro del discepolo?
E quale immagine costruisce l’operaio del proprio datore di lavoro, e viceversa?
E quella che i partner edificano reciprocamente l’uno dell’altra?
Pure finzioni, inconsistenze, irrealtà, narrati fantasiosi e funzionali ai propri processi esistenziali che poco, o nulla, hanno a che fare con la realtà dell’altro.
Il discepolo vede sé, o il maestro? E questi chi vede, oltre la pretesa di vedere perché è il maestro?
E l’operaio, il datore di lavoro, i partner chi vedono oltre a se stessi e alle proprie proiezioni e alle necessità esistenziali che hanno e che determinano tutto il loro vedere?
La realtà, molto semplice, è che ciascuno vede sé e i propri processi e si può affacciare sull’esistenza dell’altro osservando, ascoltando ed evitando di costruire immagini che mai possono riassumere il non conosciuto e il complesso esistenziale che l’altro porta a manifestazione.
E quando diciamo che ognuno vede sé, che cosa vede di sé?
I processi dell’identità? Quelli della coscienza? Entrambi? Anche in questo caso la mente/identità assembla frammenti e cerca di costruire una coerenza di immagini, di narrazioni, di interpretazioni.
Se non facesse questo, dovrebbe prendere atto che non c’è coerenza alcuna, solo un guazzabuglio di situazioni e stati: cantieri aperti con gli operai che vanno e vengono.
Molti operai, tutti diversi e tutti con lo stesso nome: un guazzabuglio!
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