Osservava ieri una persona che segue il nostro percorso, che ciò che chiede ad un insegnante è di indicargli la via.
A titolo di esempio diceva che di Gesù da duemila anni viene tramandato l’insegnamento, non il suo quotidiano.
E’ una tesi apparentemente credibile e vera per una persona che inizia il proprio cammino interiore e spirituale.
Per una che inizia e che ha, fondamentalmente, bisogno di una direzione, di un dito che gli indichi la luna, di un punto cardinale verso cui dirigersi e di un orizzonte da raggiungere.
La persona più esperta del cammino interiore ha un’esigenza più complessa, vuole tenere assieme la luna, il dito che la indica, il corpo di cui il dito è parte, la terra su cui appoggia quel corpo.
Una persona macerata dalla conoscenza di sé e della vita, incarna l’ideale, vede le cadute e le difficoltà dell’insegnante, osserva e comprende l’insieme del processo che questi vive e quel processo nel suo insieme parla alla sua vita. Questa persona non è interessata tanto alla direzione, oramai acquisita, ma al processo e ai dettagli esistenziali di questo perché quotidianamente deve confrontarsi con la fatica, con il limite, con la gratuità, con le esperienze che rompono gli schemi, con i processi dell’energia e dei corpi che aprono su nuove sensibilità.
A quella persona serve guardare alla grandezza e alla miseria del maestro perché entrambe parlano del processo comune da entrambi vissuto.
Se il maestro espone la propria vita come officina della trasformazione, al discepolo diviene più chiaro come procedere perché vede il processo esistenziale del maestro, ad esso può fare riferimento imitandolo, sottoponendolo a critica e revisione, distaccandosene.
L’insegnante che indica il dito/direzione e la luna/orizzonte è comodo per lo studente perché non lo provoca fino in fondo: se l’insegnante espone la propria vita come officina esistenziale, lo studente non può ricamarci sopra e vede una vita che parla ad un’altra vita da dentro il limite e la grandezza di entrambe.
Per vedere l’officina esistenziale del maestro, il discepolo deve vivere presso di esso, deve entrare in relazione profonda.
Per seguire un insegnamento, basta leggere libri e coltivare una fiducia che assomiglia molto ad un sogno della mente.
Un insegnante che ti chiama nell’officina della vita non ti lascia scampo, ti costringe ad impastarti e ti porta fuori dal sogno facile del dito e della luna.
Una domanda: staresti con una donna, o un uomo, che ti mostrano la loro maschera ma mai ciò che sono? No?
Però segui insegnanti della cui vita non sai niente, con cui non vivi mai per prolungati periodi di tempo, con cui non entri in una vera relazione.
Non è interessante?
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Molto interessante anche per me.
La modalità di cui parla Roberto chiama in causa, coinvolge, crea relazione.
Vedo mia madre, mio primo insegnante, che si sta spegnendo proprio in questi giorni è mi appare fin troppo chiaro che nulla sarebbe stato ed a poco sarebbe valso il suo insegnamento se non avessimo condiviso la vita.
Gratitudine infinita mi pervade, pur nel dolore dell’imminente distacco fisico.
..è interessante infatti! E’ vero molti cercano un percorso spirituale idilliaco: la fine di una vita quotidiana meschina, fatta di inutilità, sofferenza, trasparenza e sempre uguale, alla ricerca di una altro mondo, di altre sensazioni, di altri “livelli di coscenza”, in sostanza forse alla ricerca della felicità. Credo che molte persone è così che iniziano ed è così che si ritirano quando il mondo idilliaco si sgretola oppure continuano coltivando quella maschera fino a che non succede qualcosa perchè magari la Vita (Coscienza) sbatte la porta in faccia facendo cadere la maschera.