I figli non ci sono dovuti

“Ma una cosa deve essere chiara, più di ogni altra: ovunque ci sia una regolamentazione ci sono anche diritti per tutti, per le donne che come atto d’amore offrono un riparo temporaneo al figlio di chi non può “naturalmente” averne, e per i bambini che nascono da questi atti d’amore.
Eh sì, perché non si tratta di sfruttamento e di infelicità, ma di struggenti atti d’amore e di incredibile altruismo che tolgono il fiato e riempiono gli occhi di lacrime.” Questo dice Roberto Saviano sull’ultimo numero dell’Espresso (6/2016) in merito alla maternità surrogata.
Ci sono casi in cui una madre può vivere una gravidanza e poi deliberatamente fare dono della creatura che è cresciuta con lei: può accadere all’interno di rapporti molto profondi tra persone coinvolte in una relazione davvero speciale e davvero illuminata dall’amore e dalla gratuità.
Non ho dubbi che in questi casi la legge non debba mettersi di mezzo e possa legittimare il processo che queste persone vivono.
Mi chiedo però chi ci garantirà dal commercio di gravidanze e di situazioni strumentali dove l’amore non centrerà niente e risalterà invece il rapporto mercantile.
Immagino che esistano strumenti sociali e giuridici per discriminare ciò che è in buona fede e nell’ottica dell’amore, e ciò che è mercato dei corpi e degli affetti.
Ho delle perplessità: tra le altre cose, Saviano parla anche di riparo temporaneo ad un figlio, quello offerto dalla madre transitoria.
Per esperienza diretta vorrei dire che le cose non sono così semplici e lineari come sorvola Saviano: non si passa da un utero a braccia estranee senza prezzi e il processo del formarsi di una vita, del crescere e del nascere non è un fatto puramente biologico, ma è ricco di molte implicazioni di cui una parte della cultura laica e scientista nulla sa.
Da un punto di vista esistenziale è evidente che ogni persona cresce là dove ci sono le condizioni migliori per conseguire le comprensioni che le necessitano.
Per quanto ci possa sembrare poco logico e sensato guardando certe realtà famigliari, ogni bambino è nell’ambiente dove il suo karma può dispiegarsi al meglio e dove la coscienza può attingere ai dati che le servono.
Quindi, dal mio punto di vista, la perplessità riguarda l’opportunità di ampliare la platea di coloro che ricorrono alla maternità surrogata: in un mondo dove si vendono i corpi dei bambini per essere usati come pezzi di ricambio, la prudenza è un imperativo.
Una coppia che desidera l’esperienza della paternità e della maternità ha la via dell’adozione, o dell’affido.
Quando i due sono sterili, o sono dello stesso genere, possono richiedere un figlio in adozione dando ad una creatura che ne ha necessità, una famiglia.
Ma, alcuni di noi, vogliono un figlio proprio. Qual’è la sfida esistenziale per queste persone, in che modo una società può aiutarli ed accompagnarli?
Discernendo ed aiutando a discernere: se vuoi un figlio per fare l’esperienza del genitore, l’adozione è perfetta, è maternità e paternità completa.
Se vuoi un figlio tuo tuo, di zero giorni e l’adozione no, questo mi parla di te e della strana idea che hai della genitorialità.
Se vuoi un figlio per coronare l’amore con il tuo partner, allora non ci sono parole per commentare. L’amore passa e il figlio rimane, diceva Fabrizio.
Un figlio rappresenta l’andare oltre sé, oltre i propri bisogni, le proprie necessità, i propri desideri: non si fa un figlio mossi dal bisogno. La maternità e la paternità sono vocazione al prendersi cura; quella spinta che i genitori sentono nel loro intimo e che li induce a decidere di avere un figlio, non è per coronare qualcosa, è per iniziare un processo esistenziale completamente altro, per misurarsi con il proprio egoismo, il proprio egocentrismo, per imparare a prendersi cura, a darsi. Per imparare a scoprire l’irriducibile altro negli occhi della creatura che vive con noi. Per imparare ad arrendersi, a piegarsi e scoprire l’impossibilità del controllo sulla realtà dell’altro. Per imparare a conoscere la fiducia.
Diceva il cardinal Bagnasco, con cui è raro che mi trovi d’accordo, che i figli non sono un diritto: è così, sono un dono e il ricevente in quell’ottica può mettersi.
Se poi si ritiene che tra adozione e maternità surrogata in fondo non ci sia una grande differenza, a me sembra che allora non abbiamo visto bene.
L’adozione è l’apertura sul mistero dell’altro, è l’essere disposti a rischiare, è affidamento alla vita e al suo progetto su di noi e sul figlio.
La maternità surrogata può essere, non ho detto che è, il tentativo di controllare l’intero processo: pretesa, ancora una volta, di essere coloro a cui ogni cosa è dovuta e che ogni cosa gestiscono.
E invece non è vero che ogni cosa ci è dovuta, i figli non ci sono dovuti e se non vengono i figli nostri, possiamo occuparci di quelli degli altri, possiamo chiedere alla vita di renderci madri e padri diffusi che accudiscono figli in strada, presso famiglie disagiate, nelle troppe situazioni in cui l’infanzia è violata.
Veramente tanti sono i modi in cui può dispiegarsi l’amore genitoriale.


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natascia

Quando nasce un figlio, non sai mai chi metti in casa! In occasione di un convegno ebbi modo di ascoltare quest’espressione che una delle relatrici, madre di 5 figli, si sentiva spesso dire dalla nonna. Mi colpì! perché metteva in evidenza che i figli non ci appartengono, non possiamo controllare alcun ché. Mi colpì ancora di più, perché il contesto in cui si svolgeva il convegno era prevalentemente cattolico e facevano riferimento ad un detto popolare. Mi capita spesso di cogliere una profonda saggezza nei detti popolari! Come mi capita spesso di cogliere molta superficialità ed egoismo nelle parole di chi si pone come persona aperta e non conformista. Essere genitore dà modo di sperimentare al massimo grado, la gratuità. E’ una delle officine privilegiate, dove sperimentare il proprio limite, la modalità che più mette in scacco la nostra rigidità, la difficoltà al cambiamento e contemporaneamente l’opportunità al suo superamento. Cosa ha a che fare tutto ciò con la pretesa di avere un figlio biologico proprio, prendendo in affitto un utero? Dov’è la gratuità, la disponibilità al riconoscimento del proprio limite? Sono d’accordo che scegliere l’adozione e l’affido vanno verso quest’ottica. La pretesa di avere un figlio biologico proprio sottende ad altri fini.

Catia Belacchi

Non c’è niente da aggiungere a quanto detto. L’analisi coglie in pieno anche quello che è il mio pensiero. Un figlio è veramente altro da noi. E’ un dono non una proprietà perciò il poterlo avere o no per via “naturale” fa parte del punto in cui ci troviamo nel nostro percorso personale. Volere avere a tutti i costi il “proprio”figlio” parla della consapevolezza della persone che lo chiedono. Ho delle forti perplessità sul fatto che far crescere nel proprio utero un figlio per altri sia un atto di amore. Non nego che qualche volta possa veramente esserlo ma credo davvero che, sempre per un legame d’amore, non sia facile staccarsi da un bambino che è cresciuto dentro di te e con cui hai condiviso un rapporto importante. Credo comunque che la legge debba essere approvata perché non è vietando che si aiuta l’altro a crescere ma essendo liberi di scegliere.

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