Ho incontrato ieri Elena, da tempo compagna nel viaggio interiore e da quell’incontro nascono queste riflessioni.
Le coscienze si muovono sospinte dagli archetipi permanenti e orientate/condizionate da quelli transitori.
L’archetipo permanente dell’amore permea una coscienza che lo realizza sulla base delle comprensioni acquisite nella forma stabilita dagli archetipi transitori, nella fattispecie nella forma della famiglia fondata sulla coppia.
L’archetipo permanente dell’unificazione* si articola nell’archetipo transitorio del monaco e del monachesimo.
Ogni spinta universale si incarna in una forma transitoria e “locale”. Questo è l’ambiente vibratorio nel quale operano le coscienze.
Ma cosa accade quando una coscienza sente sempre meno l’influsso degli archetipi transitori e sempre di più è indotta ad obbedire, a conformarsi, alla natura di quelli permanenti?
Accade un suo “estrarsi”, un “eradicarsi” dalle convenzioni, dalle regole, dalle visioni che governano il divenire e con esso il mondo.
Per quella coscienza allora, i termini che comunemente indicano le forme degli archetipi transitori, assumo significati più vasti quasi sempre racchiusi nell’etimologia dei termini stessi. Il linguaggio assume un’altra pregnanza e diviene strumento consapevole di una comunicazione più sottile e sofisticata.
Quell’eradicazione dal mondo e dai suoi valori, conduce la persona sotto il dominio del suo sentire e la libera da molti condizionamenti: essa entra progressivamente in una visione neutrale dei fatti e dei processi e il linguaggio, non potendo ogni giorno essere reinventato, viene piegato all’esigenza di esprimere il nuovo interiormente sperimentato.
Tradizionalmente la ricerca spirituale ha avuto le sue forme codificate, in ogni religione ha assunto manifestazioni specifiche e, con il superamento delle religioni stesse, è divenuta qualcosa di molto liquido e informe.
Siamo in una fase in cui l’archetipo dell’unificazione opera, e non può non operare, ma gli archetipi tradizionali e transitori delle religioni vanno attenuando la loro influenza e, in alcuni casi, questa diviene irrilevante.
Di necessità nasceranno archetipi transitori nuovi e più adatti nella forma e nella sostanza ad incarnare in questo tempo l’archetipo permanente dell’unificazione.
Chi ci segue sa che di frequente facciamo riferimento alla nozione di monaco e di monachesimo; il lettore dovrebbe anche aver compreso l’uso che facciamo di questi termini, la pregnanza interiore ad essi attribuita, l’epurazione da ogni attribuzione formale e tradizionale.
Il nostro è un tentativo di delineare un orizzonte: qual’è l’archetipo transitorio del cammino spirituale di oggi e di domani?
Un abbozzo di risposta:
– il cammino in sé è il centro: ciò che la persona sperimenta nel suo quotidiano diviene l’alfa e l’omega;
– la realtà sperimentata è riconosciuta come maestra, non dunque la tradizione spirituale ma ciò che attimo dopo attimo impatta e impone una consapevolezza e una modificazione;
– non le adesioni, non le appartenenze, non le strutture, non le aggregazioni di cammini e di intenti sono di utilità al ricercatore dell’unificazione interiore oggi;
– la capacità di comprendersi come colui che sperimenta, diviene consapevole, comprende è il faro che lo conduce: il paradigma che usa per leggersi e interpretare la realtà è ciò che lo conduce e lo orienta;
– la condivisione del paradigma con altri è ciò che lo rende consapevole del procedere assieme;
– la condivisione del sentire è ciò che lo costituisce comunità con gli altri ricercatori.
Questo approccio di risposta configura solo stati interiori, solo esperienze dall’interiore guidate, all’interiore rivolte: non genera forme, non dà luogo a strutture, non si manifesta in apparati di alcuna natura.
Non si tratta di fare, di costruire, di generare nuove forme: si tratta di essere, di dispiegare l’essere.
L’essere è stato interiore che può non aver bisogno di forme per esprimersi avendo il sentire come suo mezzo.
L’epoca che stiamo preparando è governata dal sentire e su di esso incentrata: molte forme moriranno, molte altre diverranno estremamente fluide perché il sentire può prescindere dalle forme, cosa impossibile alle menti e al loro regno.
Quando penso al Sentiero e al suo futuro non vedo forme, vedo l’impalpabilità del sentire che ci accompagna e ci indirizza; quando provo ad allungare lo sguardo non vedo niente nella forma, ma scorgo la rilevanza del procedere assieme dei sentire.
E’ un compito arduo e che richiede sottigliezza estrema di analisi e di percezione, quel procedere assieme senza forme tangibili e appetibili per le menti.
*Non so se esista un archetipo permanente dell’unificazione, è probabile che sia un aspetto dell’archetipo dell’amore, ma qui così lo definisco perché mi aiuta ad esprimere meglio il mio pensiero.
Lo spirito missionario che in ambito ecclesiale ha prodotto molte aberrazioni quando è stato vissuto come arido dovere, come relazione squilibrata di uno che dà e l’altro che riceve e basta, lascia spazio ad una condivisione spontanea, autentica del sentire acquisito e sperimentato che può portare altri a riconoscersi del sentiero condiviso, nella libertà, nella gratuità, fuori dal giudizio e dall’aspettativa.