«Perciò vi dico: non siate in ansia per la vostra vita, di che cosa mangerete o di che cosa berrete; né per il vostro corpo, di che vi vestirete. Non è la vita più del nutrimento, e il corpo più del vestito? 26 Guardate gli uccelli del cielo: non seminano, non mietono, non raccolgono in granai, e il Padre vostro celeste li nutre. Non valete voi molto più di loro? 27 E chi di voi può con la sua preoccupazione aggiungere un’ora sola alla durata della sua vita? 28 E perché siete così ansiosi per il vestire? Osservate come crescono i gigli della campagna: essi non faticano e non filano; 29 eppure io vi dico che neanche Salomone, con tutta la sua gloria, fu vestito come uno di loro. 30 Ora se Dio veste in questa maniera l’erba dei campi che oggi è, e domani è gettata nel forno, non farà molto di più per voi, o gente di poca fede? 31 Non siate dunque in ansia, dicendo: “Che mangeremo? Che berremo? Di che ci vestiremo?” 32 Perché sono i pagani che ricercano tutte queste cose; ma il Padre vostro celeste sa che avete bisogno di tutte queste cose.33 Cercate prima il regno e la giustizia di Dio, e tutte queste cose vi saranno date in più. 34 Non siate dunque in ansia per il domani, perché il domani si preoccuperà di se stesso. Basta a ciascun giorno il suo affanno. Matteo 6,25-34
Poche cose ci colpiscono come il veder messa in discussione la nostra sopravvivenza. Vedere poi in forse la vita di un figlio, è ancora molte volte peggio.
Quando le fondamenta della nostra esistenza vacillano, la prima reazione è sempre un profondo disorientamento: la mente non è pronta ad una simile eventualità, per quanto contemplata come possibilità, averla di fronte come realtà la spiazza.
Dopo il disorientamento, di norma sorge una reazione: si attivano nel profondo dell’essere le risorse per affrontare la sfida che si presenta, in ottemperanza al principio che ciascuno ha le forze e le possibilità di affrontare ciò che viene, non essendo questo mai contro, ma sempre per.
Ciò di cui voglio discutere qui, non è il percorso che ciascuno sceglierà per affrontare la malattia che lo coglie e lo minaccia, voglio invece discutere:
– della necessità di non preoccuparsi della propria sopravvivenza;
– della necessità e della capacità di osservare e comprendere che cosa il simbolo della malattia sta cercando di insegnare, sapendo che la vera morte e l’ignoranza di sé e il non aver compreso quanto la vita ci stava offrendo.
Quando la vita è in pericolo, è difficile non sentirsi minacciati, non contattare con mano il principio dell’impermanenza, non vedersi attraversati da un’ansia profonda. A quest’ansia risponde il brano di Mt. che riporto all’inizio:
E chi di voi può con la sua preoccupazione aggiungere un’ora sola alla durata della sua vita?
La vita di tutti noi ci appartiene per le scelte, gli orientamenti, i giudizi e le aspettative, ma non ci appartiene nelle sue direttrici di fondo: quando nasciamo e dove, da chi veniamo allevati ed educati, chi incontriamo in certi crocevia del nostro procedere, quando moriamo nella dimensione del corpo materiale.
Molta parte del nostro vivere è completamente al di fuori del nostro controllo e faremmo bene ad occuparci di ciò che veramente ci compete: come viviamo ciò che la vita ci presenta.
Se la persona che vede minacciate le fondamenta della propria sopravvivenza può, è capace di coltivare una fiducia di fondo, mai scontata, mai certa, sempre da rinnovare, allora quella fiducia sarà la nota di fondo su cui si svilupperà l’intero processo del guarire.
Il processo del guarire non necessariamente conduce al vivere ancora nella forma fisica: la guarigione di cui qui si parla non è quella così cara all’umano per ragioni ovvie e quantomai condivisibili, è la guarigione nell’interiore, quel sanarsi, quel completarsi di comprensioni che, nella loro manchevolezza hanno originato il processo dell’ammalarsi.
Quanto può comprendere di sé e della vita chi ne sente vacillare le fondamenta?
Dalla conoscenza, dalla consapevolezza e dalla comprensione di ciò che bussa prepotentemente alla porta chiedendo di essere visto ed affrontato, nasce un nuovo livello di comprensioni e il superamento di un limite che altro non è che una comprensione non ancora avvenuta, o non ancora maturata.
L’umano pensa che guarire sia sopravvivere alla malattia, ma l’umano non ha ben inteso: questa vita non è che una rappresentazione fugace e finirà quando deve, la nostra malattia vera, la nostra morte è la non conoscenza, la non consapevolezza, la non comprensione.
Ogni passo sulla via della comprensione è superamento dell’unica morte che conta: la morte dell’ignoranza e della separazione, la morte della vita nell’illusione, la morte nella lontananza dall’unità con l’Assoluto.
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M’illumino d’Immenso
Grazie!
Grazie per queste parole illuminanti. Aderisco in pieno a quanto da te esposto.
Spesso, soprattutto da qualche tempo, avverto come sia difficile cambiare le situazioni. È come se vivessero una vita propria. Fuori dal mio controllo. Sono state innescate da me e io mi sento estranea ad esse. Allora un senso di abbandono pacificante mi pervade… Ma rimane un senso di incapacità di incidere nella realtà…
Leggo, comprendo con la mente, tremo al pensiero e come Maria serbo queste cose nel mio cuore o forse, meglio ancora, aggiungo un tassello di comprensione che prepara il mio sentire
Conoscenza…..consapevolezza…..comprensione….e il processo ricomincia ogni volta dopo una crisi con un tassellino aggiunto.
Ormai non metto più in dubbio il processo, è stato acquisito, vivo nella fiducia più piena (così mi pare), ma l’acquisizione di nuove compensioni porta ancora fatica e sofferenza….e mi chiedo: arriverà mai il giorno in cui tutto scorrerà e riuscirò a vivere ogni momento con serenità?