Sentire, mente, emozioni

Dice Samuele in merito al post La gestione delle emozioni e dei pensieriQuell’ancoraggio lo potremmo chiamare consapevolezza?
Certamente, consapevolezza di qualcosa di sperimentato. Non consapevolezza di qualcosa che si è capito, o a cui si aderisce per fede.
Più hai sperimentato, ti sei concesso di sperimentare quella dimensione fondante di te, più quell’esperienza si è impressa, è divenuta comprensione e come tale pietra d’angolo nella lettura di te e della tua vita.
Per questa ragione è necessario scendere nella profondità di un cammino spirituale finché esso non ci introduce nell’esperienza della radice del vivere: una volta sperimentata quella radice, siamo guidati da una fiducia autentica fondata sull’esperienza e la gestione dei flussi emotivi e cognitivi può usare appieno la disconnessione.
Parlavo stamattina con una persona che vive l’identificazione con l’emozione e con il racconto che di essa fa la mente.
Ci sono persone che effettivamente vivono prevalentemente la sfera emotiva; ce ne sono altre che utilizzano la sfera sensoriale, emotiva ed affettiva per nutrire le loro menti e trarne gratificazione e senso.
In altre parole, queste persone non vivono la pienezza emotiva, ma il pensiero della pienezza emotiva; non sperimentano l’immenso spettro delle sensazioni ma, con alcuni aspetti di esse, nutrono la mente e l’elaborazione fantasmagorica che essa produce; non provano sincero affetto, coltivano l’idea dell’affetto.
In queste persone tutto ciò che sorge nel corpo astrale è messo al servizio del corpo mentale, della produzione di esperienza astratta: esse non vivono l’esperienza emotiva come tale, la utilizzano come legna nel camino del mentale per produrre enfasi, per dilatare illusoriamente ciò che stanno sperimentando.
In effetti, queste persone hanno una predominanza mentale e uno dei loro principali problemi è quello di trarre senso e pienezza dai loro vissuti: il filtro dell’identificazione con il mentale rende scialbo il loro vivere e allora utilizzano l’elemento emotivo come stimolo, nel tentativo di far emergere una pregnanza nel loro quotidiano.
Per persone con questa disposizione, è fondamentale imparare a sperimentare il mondo delle sensazioni in quanto tale, dedicandosi dei momenti in cui l’esperienza di certe sensazioni possa invadere la consapevolezza senza venire utilizzata come carburante per il mentale: lasciata alla sua natura, la si mantiene esperienza delle sensazioni e basta, senza ricami.
Più sperimenteranno le sensazioni in quanto tali, più la loro mente si vuoterà di contenuto e di finalità; più perderà quella propensione a utilizzare ogni dato del reale finendo per svuotarlo di senso.
Quando la consapevolezza è appoggiata sulle sensazioni, subito si apre la porta al sentire, all’esperienza del sentire: è un’automatismo, se si lascia fluttuare la sensazione che viene e che va, essa conduce immancabilmente allo stato di Essere.
Se si usa la sensazione per dei fini e non la si lascia fluttuare, essa perde la propria pregnanza e non apre su niente.
Se c’è sensazione ma non c’è identificazione, sorge il sentire.
Se c’è emozione e non c’è identificazione, sorge il sentire.
Se c’è affetto e non c’è identificazione, sorge il sentire.
Se c’è esperienza del sentire come piattaforma su cui tutto il transitorio appoggia, se questa esperienza è reiterata nel tempo e compresa, allora noi abbiamo costruito un ancoraggio solido e permanente: nel mare dell’impermanenza, abbiamo affondato la radice nella permanenza del sentire.
Fondandoci su quell’ancoraggio possiamo sviluppare la pratica della disconnessione: la persona prima citata, può imparare a vivere le sensazioni, le emozioni e gli affetti come fatti in sé, senza che essi alimentino la sua mente rendendo completamente volatile, irreale ed effimero quello sperimentare.
Se quella persona rimarrà ancorata all’esperienza delle sensazioni e del sentire che esse dischiudono, le si aprirà un mondo sconfinato di esperienza e di sperimentazione, assolutamente impensabile oggi.
Concludendo: l’uso che la mente fa delle sensazioni ed emozioni conduce all’irrealtà e alla frustrazione.
La consapevolezza delle sensazioni apre sul vasto mondo del sentire.
L’esperienza del sentire permette di disconnettere la mente.
Se la mente non è più prevalente allora l’esperienza diviene unitaria: sentire, pensiero, emozione e sensazione vengono sperimentati simultaneamente.


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nadia

Metà della vita a crearci un’identità, l’altra metà a smontarla!!!
Grazie.

Sandra Pistocchi

Grazie roberto!

Luciana

“se la mente non è più prevalente”…
ma quando ti rendi conto che è lei che fa la parte del leone e ti porta dove vuole, e nonostante la ricerca della sensazione fisica, del riportare l’attenzione sul corpo, riesce sempre a farla franca? Perseverare, certo, ma mi viene il dubbio che io non stia agendo nel giusto modo….è sempre lei che insinua il dubbio? Attendo (im) paziente che docilmente, come un cavallo domato, si faccia imbrigliare…
Devo qui riconoscere che la forza della comunanza è enorme, nei nostri incontri sento una pace, una quiete mentale che nel quotidiano non ritrovo, riesco a staccare, a tenere a bada quei pochi pensieri che arrivano.
Grazie

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