Zazen è la consapevolezza simultanea del sentire, del contenuto mentale e di quello emotivo e sensoriale: tutti i piani del’esistere sono simultaneamente presenti alla consapevolezza durante zazen.
La consapevolezza recepisce, prende atto, lascia fluire.
La persona che vive in modo preponderante la propria mente, o la propria emozione, durante zazen può vivere un riequilibrio ma, spesso, quella persona si ribella alla staticità della postura, ai tempi lunghi, all’accadere insignificante: è abituata alle sollecitazioni della mente e dell’emozione, è avvezza ad alimentarle, o a combatterle.
Non sempre la persona accetta di buon grado quel lasciar fluire, quel non alimentare o non combattere: alimentare, la stimola; combattere la attiva; lasciar fluire sembra che la svuoti di sé.
Ed in effetti la svuota del proprio protagonismo: in zazen diviene protagonista la vita, non il soggetto che pratica zazen.
Il praticante è il canale attraverso cui la vita si manifesta negli infiniti modi del proprio essere: il praticante vede la vita accadere, non sé accadere.
Zazen è un modo efficace per rimettere in equilibrio il proprio interiore: proprio perché ogni stato preponderante viene disconnesso, ciò che rimane è il semplice accadere dal quale sorge il senso di essere, l’esperienza di Essere.
Non io sperimento, ma questo accade.
La persona abituata ad identificarsi con i propri moti interiori fatica a sedersi in zazen e magari preferisce altri approcci che le permettano di raggiungere lo stesso stato di essere: questo è naturale, ciascuno ha il proprio modo, ma ciò non toglie che la persona che ha vissuto l’addomesticamento della propria mente e dai propri bisogni e desideri, siede volentieri in zazen.
Preponderanza della mente e delle emozioni significa preponderanza di desideri e bisogni: quando l’identificazione con essi si è attenuata, non si vanno a cercare le mille esperienze, si cerca e si pratica il semplice, lo stare basta.
Quando l’identificazione con sé si è placata, l’esperienza della consapevolezza è cresciuta, essa è più vasta e pervadente e, col tempo, diviene simultanea: allora non abbiamo bisogno di andare, sperimentare, cercare; abbiamo già tutto ciò che ci serve, ci basta osservare, ascoltare e stare.
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Quando si siede in zazen il corpo, le emozioni, la mente stanno. Emerge l’essere e si affievolisce l’esserci. L’osservatore non si identifica con l’osservato e ad un certo punto perde consistenza.
Praticare lo zazen non vuol dire smettere di pensare ma lascia andare ciò che attraversa la mente, come veder passare un treno, poi magari con il tempo i vagoni diminuiscono! Altrimenti stare lì seduti diventa solo una gran fatica inutile.