La vicinanza che aiuta

In una coppia, se i due affrontano la vita leggendola alla luce dello stesso paradigma, tutto è più facile: quando in una officina gli operai sono esperti ed affiatati, il lavoro scorre molto più agevolmente e con meno fatica per tutti. La presenza di un apprendista che non conosce il lavoro, richiede uno sforzo e una dedizione particolari ma, in genere, l’apprendista impara e quello sforzo è ripagato dalla suddivisione futura dei compiti e dei carichi.
Quando in una coppia, uno dei due non ne vuol sapere di condividere il paradigma, la cosa si complica: un apprendista lo puoi anche licenziare, un partner pure, ma è più complicato.
Se uno dei due legge la realtà nella logica vittima/carnefice e l’altro ha invece maturato la consapevolezza che nessuno è vittima di nessuno, il procedere assieme diviene più faticoso: i due, in genere, per non capitolare cercano di fondare il rapporto sugli elementi che ancora hanno in comune ma, nei rapporti di lunga durata, se il procedere non ha respiro esistenziale, e quindi i due condividono la lettura della realtà e la direzione del procedere, il loro cammino non è agevole.
Conosco coppie che procedono assieme e ne conosco molte che no, ognuno va per la propria strada e sono tenute assieme dall’essere famiglia, ma sul piano esistenziale ciascuno legge la realtà a modo suo.
Alcune di queste coppie, le seconde, sono sufficientemente stabili e appoggiano sulla capacità di entrambi i partner di rispettare il cammino dell’altro.
Altre coppie, soffrono in maniera più visibile la mancanza di uno sguardo comune.
A prossimità di sentire, corrisponde prossimità di paradigmi. Il modo come leggiamo la realtà non è dunque solo la risultante delle nostre conoscenze, ma innanzitutto del sentire conseguito, del compreso, della compassione che ci pervade.
Possiamo guardare assieme la televisione e vedere l’immane tragedia di queste creature che attraversano il mare, e sperimentare lo stesso sentire che ci fa dire: “Chiunque essi siano, quello che debbono vivere non è giusto, non è umano!”
O possiamo guardare le stesse scene e ritrovarci a dire uno questo e l’altro: “Debbono stare a casa loro!”
Capite cosa intendo per condivisione di paradigmi che sorgono da una prossimità di sentire?
La vicinanza aiuta.
Naturalmente sono anche dati dei casi in cui i due hanno all’apparenza paradigmi differenti: uno ad esempio ha una fede religiosa, l’altro no, non se ne cura.
Apparentemente appartengono a mondi differenti, ma non necessariamente questo è vero.
Il credere, non credere è solo un fattore di un paradigma, i due possono essere tenuti assieme, nella lettura della realtà e nella condivisione dei vissuti, da innumerevoli altri fattori comuni: la generosità, l’idealità, l’apertura al nuovo e molto altro. Cioè dalla preponderanza degli elementi del sentire e dalla comunione tra questi che va a compensare l’altro divergere.
La visione della realtà, il paradigma, e la sua relazione col sentire, è qualcosa di molto articolato e ricco di sfumature: i due possono avere le stesse visioni, ma uno è corroso dal proprio egoismo, quanto soffrirà l’altro per questo limite che appesantisce entrambi? E quanto finiranno per divenire degli estranei a partire da quel non compreso?
Allora, verrebbe da dire: “Cosa conta come interpretiamo la realtà, conta come la sentiamo!” Contano tutti e due perché l’interpretazione è figlia del sentire.
Come reagiscono due genitori di fronte alla crisi di un figlio? In base al compreso e al non compreso, e al modello interpretativo attraverso il quale leggono quel passaggio esistenziale del figlio.
La vicinanza aiuta.
Così è anche in un cammino interiore come il nostro: non si può percorrere questo Sentiero se non si condivide il paradigma, almeno nelle sue linee generali, se non si ha una prossimità di sentire che porta naturalmente a leggere la realtà attraverso la stessa lente. Se non c’è questa comunanza di fondo, fatta di sentire e di condivisione della lettura della realtà, non ci si incontra nemmeno.
Una volta incontrati, nel tempo, attraverso le esperienze, macerati da queste, può accadere di sperimentare il sentimento della fratellanza e della sorellanza, di quella prossimità, vicinanza e comunione di procedere, di quella intenzione condivisa che diviene i mille piccoli atti e le molte scelte di ogni giorno che ciascuno vive in sé, nel proprio piccolo mondo ma che sono sorrette da quel sentire e procedere comune.
I “vecchi” della via interiore, coloro che hanno perduto ogni baldanza, sanno che si cade e ci si perde, sanno il valore della vicinanza.
Non è così anche nella coppia? I due non sperimentano infine quella sorellanza e fratellanza? La chiamano in altro modo, forse, ma non è quello?
Ogni volta che scrivo, riaffermo la nostra vicinanza, contribuisco a consolidare il procedere mio e vostro, aggiungo la mia intenzione alla vostra: intenzioni che hanno la stessa direzione, divengono luce lungo la via e guidano i passi a volte leggeri, altre volte pesanti, di ciascuno di noi.


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Luciana

Grazie! Sento centrata in pieno la descrizione delle dinamiche e delle difficoltà nella coppia che non adotta uno stesso paradigma e la descrizione delle possibili sfumature e più o meno vicinanze a seconda dei sentire di entambi. Ho sperimentato vari gradi di distanza di vedute e concordo con Natascia nell’usare il termine “opportunità” rispetto alle varie esperienze.

natascia

Quando , “l’officina coppia”, è stata molto faticosa e dolorosa, proprio perché così diversi nell’interpretare la realtà e, l’esperienza si interrompe, l’unica lettura possibile per me, è guardare quell’esperienza come necessaria a superare il limite del mio sguardo. Per non rimanere prigioniera all’interno della visione vittima/carnefice, posso solo guardare quell’esperienza come l’opportunità che la vita mi ha messo a disposizione per andare oltre lo sguardo così limitato che quella situazione ha generato. Non è scontato, né acquisito a cuor leggero, ma è, ogni giorno, un impegno, un’attenzione a guardare i fatti che la vita mi propone, nella prospettiva di un’opportunità.

Michela

Grazie!

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