Siamo così abituati a pensare che l’incontro con una persona sia l’incontro con qualcuno che, credo, ci sia solo parzialmente accessibile la nozione di “casa vuota”.
Cosa intendo con questa espressione? L’assenza di quel qualcuno. Come è possibile che ci sia un corpo, una relazione sostenuta da parole, pensieri, emozioni e, simultaneamente, non ci sia qualcuno dietro questo?
Quando c’è qualcuno? Quando il soggetto si ritiene tale. Quando qualcuno non c’è? Quando il soggetto tale non si ritiene.
Dunque è solo una questione relativa alla interpretazione e alla percezione di sé.
La percezione della propria soggettività è conseguenza dell’interpretazione di sé e questa deriva, a sua volta, dal compreso: lungo il cammino di unificazione, si giunge alla lucida consapevolezza che non c’è soggettività, né identità: non esistono, sono solo apparenza.
Sono ciò che appare ad un primo, trascurato sguardo.
La superficie baluginante del mare dell’essere.
Non c’è nessuno, la casa è vuota nella percezione del soggetto che non c’è: la casa è abitata, nella percezione degli altri, degli estranei al soggetto.
Ma se la casa è vuota, cos’è la relazione tra l’identificato e il non identificato?
Non ciò che appare. Per l’identificato, è relazione e suo tentativo; per il non identificato, puro stato di sentire.