Ditemi, cos’è una famiglia se non un’officina della compassione?
Non è forse il luogo delle viscere esposte, della confidenza ed esposizione estrema?
E non è il luogo su cui viene deposto un velo di silenzio a volte, di accoglienza risentita altre, di accettazione senza condizione altre volte ancora?
Un velo su noi, sull’altro: un vedere il limite che grida e un coprirlo a volte; un affrontarlo, altre; un combatterlo, anche; un integralo quando ne siamo capaci.
Accade solo in famiglia? Se ieri sera avete visto Italia-Germania, avete anche visto i rigori sbagliati e, infine, l’ultimo fatale errore: c’è in voi del risentimento per quel giovane che ha sbagliato?
Negli esseri che non siano proprio all’inizio del loro cammino umano, la compassione opera conducendo ad una accoglienza di fondo: dopo una prima ribellione, sorge una accoglienza del realtà e la mente si pacifica.
Non è così anche nel caso di una malattia? Prima la rivolta, poi le forze per affrontare ciò che viene.
Non opera la compassione anche in quella estesa officina che è il lavoro? Passiamo tutto il tempo a rimuginare sui limite dei nostri colleghi o, ad un certo punto, non li integriamo nella nostra comprensione delle realtà, di quei limiti teniamo conto e li consideriamo endogeni all’ecosistema dell’officina?
Ieri, durante il gruppo L’Essenziale, abbiamo tra le altre cose anche riflettuto sul nostro cammino in questi anni: quante cose sono state comprese da tutti noi proprio perché ci siamo considerati un’officina esistenziale, un luogo dove ciascuno ha portato il proprio essere e l’esserci di cui è stato capace e questa franchezza ci ha plasmati, ci ha resi prossimi e per tanti versi intimi, ha creato relazione autentica anche attraverso la reazione brusca e le situazioni difficili.
Non c’è forse oggi nell’animo nostro quella pace che deriva sempre dall’aver accolto, dall’aver deposto le armi rivolte contro di sé e contro l’altro, dall’aver fatto i conti con quel respiro più vasto che la compassione sempre introduce nel compreso, stemperando e armonizzando l’essere nostro nelle relazioni?
Ma, allora, cos’è la compassione?
Oltre il velo divisorio della mente che tutto separa e tutti contrappone giudicandoli, c’è una dimensione ed una forza operante in ogni essere vivente che tende, per propria natura, conformazione e vocazione, ad integrare gli opposti, a conciliare e stemperare, ad armonizzare con il fine di garantire ancora esperienze e possibilità di relazione.
Là dove una mente brucia i ponti, la compassione li ripara e li protegge e cerca di fornire strada e orizzonte.
Quando la mente stigmatizza un errore, la compassione lo spiega, lo contestualizza, ne accenta le possibilità di sviluppo creativo.
La compassione è la forma che le comprensioni inscritte nel sentire di coscienza assumono nel quotidiano delle relazioni, invitandoci senza sosta ad incontrare l’altro oltre quel che porta, per quel che è.
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Rileggo oggi alcuni post sulla Compassione, perchè, dopo giorni di sofferenti frizioni con una persona, sono arrivata, mi sembra, al porto della Compassione, per me, per lei.
Non so quanto permarrò nella pace di questo porto, ma condivido e sperimento quanto dice il post: “Oltre il velo divisorio della mente che tutto separa e tutti contrappone giudicandoli, c’è una dimensione ed una forza operante in ogni essere vivente che tende, per propria natura, conformazione e vocazione, ad integrare gli opposti, a conciliare e stemperare, ad armonizzare con il fine di garantire ancora esperienze e possibilità di relazione.”
Grazie Robi, tanto risuona in me quello che esprimi, grazie.
Sì, hai detto bene, la compassione ci porta ad” incontrare l’altro oltre quel che porta, per quello che è”. In “quel che è” si riflette il tuo cammino evolutivo e nella disposizione ad accogliere il tuo limite, accogli anche quello dell’altro; e veramente ti accorgi che tutti facciamo parte dello stessa umanità e nel cammino prendiamo coscienza di essere tutti Uno.
Yes we can.
Aderisco.