La scuola, la frustrazione, la responsabilità personale

Amiche di questo Sentiero, hanno figlie che si approssimano all’esperienza del liceo: chiedono e si informano su chi, precedentemente, ha frequentato quella scuola, ha avuto quell’insegnante.
Spesso sono preoccupate le madri e intimorite le figlie: si va incontro ad una incognita e i genitori temono per i loro figli cinque anni in salita.
So di cosa parlano, abbiamo avuto una figlia a scuola, conosco la salita e le difficoltà durante e in cima.
Voglio riflettere brevemente su due aspetti della scuola.
1- L’organismo è composto dagli insegnanti, dagli allievi, dai dirigenti scolastici, dal ministero, dai genitori.
In classe ci sono gli insegnanti e gli allievi. A casa, i genitori e i figli.
Il lavoro fondamentale viene svolto durante le ore di lezione; il lavoro a casa è di supporto, di approfondimento, di preparazione.
Conosco una stagione in cui la scuola ha vissuta la sua primavera, in particolare la scuola primaria con le esperienze del Movimento di cooperazione educativa.
Insegnanti, pedagogisti, genitori, dirigenti ed allievi hanno dato vita ad una stagione pedagogicamente e didatticamente formidabile: gli insegnanti erano in prima linea perché erano interessati, motivati, desiderosi di portare ai loro allievi qualcosa che rispondesse alle loro esigenze.
La classe era una fucina di esperienze vissuta intensamente dagli insegnanti e dagli allievi, a volte, ma non sempre, supportata da alcuni dirigenti, illuminata dalla ricerca pedagogica, sostenuta dal consenso dei genitori.
Dove sono oggi gli insegnanti con quella motivazione?
Non c’è più il brodo di cottura per quelle esperienze? Probabilmente: due degli attori fondamentali, gli insegnanti e i genitori, sono passivi, demotivati e come intontiti dall’eccesso di niente nel quale sono immersi.
2- E’ stato investito poco e male nella scuola pubblica da parte della collettività, e questo è un peccato imperdonabile.
E’ stato investito altrettanto poco e male nella scuola privata e non si è colto il valore di questa possibilità: prigionieri di una struttura privata arretrata e confessionale, non si è vista la potenzialità di quell’ambito.
Quando penso alla scuola privata, penso alle scuole fondate sulla pedagogia di Rudolf Steiner, o della Montessori, non penso alle scuole tre-anni-in-uno.
La scuola privata – ma anche per quella pubblica può valere lo stesso ragionamento – può essere un organismo ampiamente autogestito tra genitori, insegnanti, allievi, collettività.
Può essere la cultura dei territori e quella universale che si incontrano e si incarnano nella prassi formativa proposta dagli insegnanti, nell’incarnazione attiva degli allievi, nell’azione di sostegno, di cura e di dedizione dei genitori.
Anche qui, non c’è il brodo di cottura? Probabilmente.
Cosa paralizza questo tempo? Ho sufficiente età per aver visto un’altra stagione: ho visto insegnanti in prima linea, assumersi responsabilità e pagare per le proprie scelte. Ho visto la funzione che può essere svolta da chi comprende prima e meglio di altri.
Vedo questo tempo e non penso sia sbagliato, ma ho chiaro che è una transizione: il vecchio va morendo e il nuovo ancora non ha struttura sufficiente per manifestarsi in modo visibile e tale da imporsi.
La cosa deteriore di questa stagione è il lamento dell’insegnante, del genitore, di coloro che vivono la formazione e la patiscono in questa forma.
Il lamento delega ad altri la responsabilità che invece è propria e ciascuno è chiamato e interpellato, adesso, a fare tutto ciò che sente opportuno fare, nonostante le difficoltà.
Questo sforzo di ingegno magari a casa nostra lo attuiamo, ma quando si tratta della casa comune ci capita di accettare qualcosa di inaccettabile, ci turiamo il naso e ci lamentiamo, disperdendo così la nostra energia, la nostra creatività, ripiegandoci nella frustrazione che diviene il vero brodo di cottura per noi e per quelli di cui ci occupiamo.


Se hai domande sulla vita, o sulla via, qui puoi porle.
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nadia

Argomento vasto, quello della scuola. Ho conosciuto molti insegnanti con passione, che svolgono il lavoro con amore,ma comunque facenti parte di un sistema,che poi è quello che ben spiegava anche Catia. Ma nella mia realtà, colpisce molto la poca partecipazione dei genitori, ad esempio agli incontri con gli insegnanti. Come se l’educazione fosse qualcosa da delegare.Questo disinteresse generalizzato,questa mancanza di responsabilità, mi interroga.
Conosco le scuole Waldorf a cui Roberto accennavi,il clima che si percepisce è stato per me commovente,lontano anni luce dal nostro concetto di scuola pubblica. Ma nella mia realtà, non ci sono le scuole staineriane,e credo che se ogni genitore si caricasse di un pò di responsabilità, si otterrebbero risultati differenti.

Mariella

Dal mio punto di osservazione la scuola mi appare come un insieme di monadi (gli insegnanti), ciascuno procede con il proprio bagaglio, privo di una linea comune, di un sentiero tracciato insieme ed insieme percorso.. Bisogna sperare che in quel bagaglio l’insegnante abbia messo non solo le competenze dei contenuti della disciplina, ma anche competenze umane e relazionali, sensibilità al sentire dell’altro, consapevolezza del proprio ruolo. Quando la valigia non contiene questi ed altri strumenti il problema si fa serio. Colgo l’invito a trasformare la frustrazione in responsabilità, il lamento e la rabbia in azione positiva. Grazie

Catia Belacchi

Dici bene. Quella scuola, che ho avuto il privilegio di vivere come insegnante, è morta quando invece che al bambino coi suoi bisogni formativi si è posto l’accento sulla valutazione come se la scuola fosse un’azienda, come in effetti, è ora intesa. Tra l’altro, nel nostro paese, la valutazione non guarda alle competenze, che si apprendono operando, ma alla quantità di nozioni che possono essere immagazzinate. Così si studia per la verifica e poi si dà un colpo di spugna su quanto studiato per far posto alle nozioni della verifica successiva. Fa piangere il cuore constatare poi come la “ricerca ” universitaria, o meglio
dire la quantità di pubblicazioni prodotte dai docenti universitari parli di una educazione e di una formazione che nella scuola non c’è. Percorsi paralleli, nessuna convergenza, come se la “ricerca” in educazione non riguardi per nulla la scuola.

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