Leggete questo articolo, se potete.
“Sono figli della globalizzazione, come noi. Non gente che da qualche villaggio ai confini del mondo sta cercando di combatterla. Il loro risentimento è individuale e nasce e si coltiva, tutt’al più in piccoli gruppi che ne alimentano odio e paranoia. Non hanno guerre da vincere, obiettivi da raggiungere. Le loro azioni iniziano e concludono la loro guerra personale.”
Fiamme che si accendono e si spengono, alla bisogna. Il disagio esistenziale che percorre il corpo dell’occidente, accende micce in quella persona o in quell’altra, negli anelli più fragili di un corpo sociale fragilissimo.
Fragile è l’occidente perché non sa quello che fa, perché lo fa e dove va.
Persi gli individui, perse le nazioni.
L’analisi deve essere molto differenziata: l’etichetta del terrorismo copre solo alcune delle situazioni e se usata maldestramente vela una lettura chiara del reale.
Esiste un problema tra le culture e le nazioni; esiste un altro problema interno alle culture e alle nazioni. Esiste infine un problema globale, di direzione dello sviluppo delle forze creative fino ad oggi assoggettate all’egoismo di pochi.
La mente di alcuni soggetti esplode a latitudini diverse: si compie il loro karma, quello delle vittime, ma rimane intonso il problema di fondo del simbolo per l’organismo sociale che accoglie l’evento.
Non siamo avvezzi a leggere i simboli, perché non abbiamo gli strumenti per una lettura esistenziale dei fatti e dei processi.
Per noi esiste un pazzo delirante, le sue vittime e tutto finisce lì. Isoliamo i fatti dal contesto per evitare di interrogarci troppo a fondo: l’interrogazione potrebbe portarci fuori dal torpore e questo è scomodo per noi, scomodissimo per chi ama la nostra passività.
Se una personalità vive un disagio, questo si manifesterà nei suoi comportamenti prima, e nel suo fisico poi.
Non è difficile da capire. Credete che per i popoli sia diverso?
Ma i popoli sono lo specchio dei singoli: siamo a disagio come singoli, siamo a disagio come popoli; abbiamo turbe nella sfera psicologica come singoli e come popoli. Ci ammaliamo nel corpo come singoli e come popoli.
Il dramma, quello vero, è che stiamo male ma non lo riconosciamo: ci sembra di essere sani, di fare le cose giuste.
Siamo in un delirio e non lo vediamo, non lo sappiamo e, se qualcuno ce lo ricorda, lo rifiutiamo.
Allora arrivano gli attivatori di simboli: sono come tumori, con lo stesso impatto.
Quando la persona ha un disagio comportamentale, o esistenziale, spesso lo sottovaluta finché il simbolo da comportamentale non diviene fisico.
Quando scopre di avere un tumore, allora si muove e trova qualcuno cui delegare la risoluzione del proprio problema.
Vi chiedo: stiamo leggendo i termini della nostra “malattia” comportamentale ed esistenziale?
Il tumore che si manifesta in quella parte del corpo fisico o sociale, lo analizziamo nella sua genesi, o ci limitiamo a circoscriverlo e ad annientarlo?
Se il tumore è un simbolo, saggezza vuole che lo si indaghi per comprendere quando e come probabilmente si è formato, cosa lo alimenta e come si può farlo regredire.
Vi sembra che stiamo facendo questo?
Il processo doloroso del prendersi le proprie responsabilità come singolo o come popolo è meticolosamente scansato ancora da molti…
La realtà sociale singolarmente e globalmente intesa è più che drammatica perchè, come dici bene tu, non sappiamo leggere i simboli sottesi alle storture e alle brutture che la affliggono. Le stragi terroristiche sono i tumori del corpo sociale. La verità è che ancora la maggior parte delle persone non sa o non vuole sapere che il tumore fisico, come qualsiasi altra malattia che si presenti, è il risultato di disagi e conflitti psicologici o esistenziali e le cure sono ancora lontane dall’interessare anche l’aspetto emozionale, mentale e spirituale della persona. Se questo è palese solo per alcuni ma non è conosciuto e accettato ancora dalla maggioranza , come possiamo sperare che si trovi, in breve, la giusta correzione ai mali sociali se siamo così ostinati a non riconoscere gli squilibri nella vita personale?