La conoscenza, la consapevolezza, la gratuità, la fiducia

Dice Ivana nel commento al post Desiderare, attendersi, sperare nella preghiera: Io sento che nessun tipo di preghiera né nessuna forma di meditazione è sufficiente se non affronto la paura di esprimere con autenticità il mio quotidiano vivere; mi accorgo che ogni momento della giornata che sto vivendo mi interroga sul rispetto e sul tradimento di me stessa, e il mio stato d’animo varia in relazione alle azioni che faccio o non faccio”.
Considerazione molto condivisibile. Vivere è innanzitutto fare esperienza e divenire consapevoli: da questo sorge il comprendere e il superamento progressivo del limite.
Siamo incarnati, viviamo cicli di vite fondamentalmente per comprendere la sostanziale unità del tutto: dal coglierci separati e limitati, al veder affiorare dentro di noi la consapevolezza di una pienezza che è sempre stata lì, ma non ci era accessibile perché non sostenuta dalle comprensioni necessarie.
Questo è ciò con cui ciascuno di noi si misura: alcuni lo fanno in maniera blanda, altri con maggiore determinazione, altri ancora dedicando alla via interiore ogni loro intenzione.
L’operaio della via, il monaco -colui che dedica la vita al processo di unificazione – non conosce soltanto il processo del conoscere – divenire consapevole – comprendere, conosce anche l’esperienza della gratuità rappresentata dalla preghiera, o dalla meditazione.
In certi momenti del giorno, l’operaio si ferma e il suo stare non ha più scopo: non quello di conoscere, non quello di essere consapevole, né quello di comprendere.
L’operaio mette la propria vita a disposizione: “Sono qui, sono disponibile, modellami secondo la tua intenzione!”
Lo dice rivolto alla vita, a Dio, all’altro, non importa a chi si rivolge, conta la disposizione alla gratuità, a perdere il controllo, ad affidarsi.
Conta la fiducia.
Posso voler conoscere, voler divenire consapevole, voler comprendere e nonostante questo procedere tra mille difficoltà e fatiche.
Non c’è orizzonte di mutamento autentico senza la fiducia, senza l’abbandono, senza il mettersi nelle mani della vita.
Il tempo della preghiera e della meditazione è questo, un tempo di affidamento e di resa.
Certo, come dice Ivana, in sé non è risolutivo ma, niente è risolutivo in sé e l’umano sempre cerca la via di mezzo, il tenere assieme molteplici aspetti che gli permettano un approccio unitario al suo procedere e al suo essere.
Se l’umano che viviamo e percepiamo non è che l’ultimo anello di una catena e se all’origine c’è la coscienza, allora l’atto di fiducia è innazitutto ad essa rivolto: “Sono una piccola identità e soffro la mia limitazione ed identificazione, ma so di essere tua espressione e a te ad ogni respiro mi affido, certo che mi condurrai là dove è per te necessario”.


Se hai domande sulla vita, o sulla via, qui puoi porle.
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nadia

Grazie Roberto!

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