La via nel silenzio e nella discrezione

Da giovani volevamo avere tempo, spazio, orizzonte vasto: la vita è stata generosa e ce li ha donati.
L’umano pensa sempre nei termini del fare: in un eremo non fai, stai.
Quando il mondo vortica, tu sei immobile.
Quando l’umano desidera, nulla ti attraversa.
Difficile comprendere, quando tutta la vita è azione condizionata, cosa significhi lo stare, l’essere senza condizione.
Dove tutto è etichettato e standardizzato, reso banale dalla diffusione, dalla facilità di reperimento e di acquisizione, non poter ridurre a sé, ad uno schema, ad una formula; non poter assimilare, né confrontare, né parametrare: uscire dalle righe di ciò che l’umano conosce, di ciò che gli torna e vivere qualcosa di non riducibile all’ambiente delle menti, dei desideri, delle aspirazioni, dei sogni, qualcosa che può essere riconosciuto solo da chi quella stessa cosa vive e sperimenta.
È la fine della comunicazione ordinaria, del confronto, dello scambio, delle relazioni sulle identità fondate, sui soggetti che si dicono delle cose, che le condividono, che le onorano.
La via del silenzio e della discrezione che abbiamo e stiamo tracciando, appoggia sulla fine della comunicazione e della relazione convenzionalmente intese: se c’è un sentire prossimo e condiviso, il presente della relazione fiorisce come un prato dopo una pioggia di primavera; se non c’è quella prossimità di sentire, solo il silenzio riempie lo spazio, poco c’è da aggiungere ad esso e a ciò che le persone vivono e che è sano e giusto per loro vivere.
Negli anni, lungo il sentiero dell’eremo hanno camminato persone che quel sentire condiviso avevano, e altre che non lo avevano: da tutti abbiamo imparato, e ancora impariamo.
Più il silenzio si è fatto profondo, più il passo nostro e delle persone si è fatto discreto: la vita, nella sua benedizione, ci porta quasi sempre persone attente e pronte – nella mente e nel sentire – per affrontare i passi non sempre facili della piena manifestazione dell’umano e del suo altrettanto pieno superamento.
Un nuovo monachesimo prende forma, non solo in questa piccola forma qui sperimentata e sperimentabile, ma anche ad altre latitudini.
La ricerca dell’unità, di Dio si direbbe in altri ambienti, è la direzione e l’orizzonte del ricercatore, del monaco:
colui/colei che nella solitudine della responsabilità della propria vita, cerca l’unità nell’Assoluto.
Ciascuno carica sulle spalle la propria vita fatta di affetti, di relazioni, di lavoro, di incombenze e di vuoti e sa che non può delegarla ad altri, sa che ciò che ogni giorno si presenta è per sé, ed affonda lo sguardo per vedere, per scorgere, per svelare la trama profonda di quegli accadere, il senso ultimo, la rivelazione del loro segreto più intimo: ogni fatto manifesta la natura dell’Assoluto e questo all’esperienza del ricercatore, del monaco è evidente, è esperienza che nel quotidiano trova senza sosta conferma.
Nel silenzio e nella discrezione questo avviene, e non potrebbe essere altrimenti: se hai una domanda, bussi; se cerchi una via interroghi quanti prima di te ci sono passati.
Non esistono risposte buone per tutti, esistono sentire che si incontrano e altri che si separano: coloro che si incontrano alimentano il fuoco comune senza sforzo.


Se hai domande sulla vita, o sulla via, qui puoi porle.
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Alberta

Grazie davvero

Roberta

Grazie.

sandra

Grazie roberto, una chiarezza molto importante!

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