Pone alcune questioni rilevanti Massimo nel suo commento al post Gradi sentire e libero arbitrio: Supponiamo che il grado 90 sia sufficientemente caratterizzato da altruismo e da una ampia consapevolezza. La navigazione attraverso queste più ampie possibilità, nel percorso che porta al grado 91, è semplicemente meno prevedibile (nel senso che ci sono, per struttura, più percorsi possibili) e quindi sembra più autonoma ma ugualmente “non liberamente scelta”, oppure vi è veramente una libera scelta (1) all’interno delle possibilità disponibili? (5) La generazione di karma è veramente evitabile sulla base di una “nostra” scelta nell’agire?
Dici che nell’operare il bene vi è ampio margine di arbitrio. Ma allora (2)”chi” è che opera la scelta? Qual è il fattore che determina l’esito delle “sliding doors”? (2) Se siamo radioline che possono solo che ascoltare “radio coscienza” e riemettere il segnale secondo le possibilità e la qualità delle nostre casse acustiche (i veicoli), dove è situato il nostro sintonizzatore personale? (4) E’ possibile liberamente cambiare canale e agire ciò che trasmette “radio coscienza due”, quasi una copia, ma con un grado di altruismo maggiore?
Se in termini generali il nostro libero arbitrio è limitato e non ci piove – non possiamo determinare ciò che Radio Uno trasmette a seconda del nostro grado di sentire, proseguendo la metafora – (3) ammettere l’esistenza di un pur minimo grado di arbitrio è ontologicamente una cosa enorme, perché nell’arbitrio si individua un “chi” che possiede quell’arbitrio. Quindi chi è quel (3)”chi”, e si tratta anch’esso di un’illusione oppure no?
1- Oppure vi è veramente una libera scelta all’interno delle possibilità disponibili?
Se una coscienza si trova a sperimentare il sentire 90.5 genera le scene necessarie per avere i dati che le necessitano.
Le scene non esistono a priori ed ora si attiva questa, ora quella. Esiste un sentire di grado 90.4 che indaga il 90.5, quel sentire dispone di veicoli transitori di una certa natura, di un dato ambiente e si esprime attraverso una identità che ha una certa conformazione e struttura.
Ricordo che l’identità non è un corpo ma una auto-interpretazione che consegue dalla relazione tra la coscienza e i suoi veicoli.
Assodato che la coscienza indaga il sentire 90.5, le scene che può generare sono varie e subiscono l’influenza delle resistenze, opposizioni, paure, aperture, fiducie che attraversano l’identità.
Quindi, l’indagine di 90.5 ha diverse possibilità indagative e sono relative alla disposizione identitaria del momento, ai collaboratori presenti, all’ambiente in cui la scena può accadere.
Una intenzione può dar luogo a diverse variabili applicative delle quali comunque una sola sarà sentita e attuata. Nell’archivio dell’eterno presente verranno sistemate sia la variante vissuta, che le varianti non vissute.
Un esempio banale: se durante un gruppo ho il mal di stomaco, questa condizione somatica influenzerà i processi intuitivi che accadono attraverso me: la coscienza, se intende creare una certa situazione, dovrà attivare la variante A, o la B per ovviare alla distorsione che il mal di stomaco produce nel sistema, nella comunicazione, nell’ambiente vibratorio conseguente.
Una turbativa, o una disposizione nell’identità, produce un cambiamento di scena ma il sentire indagato è sempre il 90.5.
2- Chi opera la scelta?
La relazione coscienza -identità opera la scelta, il flusso di dati dalla coscienza all’identità (ai tre veicoli transitori) e dall’identità alla coscienza determina l’aggiustamento e il cambiamento delle scene.
Non c’è un soggetto che sceglie, ma la scelta è frutto di un processo di comunicazione tra la coscienza e si suoi veicoli e l’immagine che questi veicoli, per loro meccanica, hanno creato di se stessi. Nel mentre i dati scorrono dalla coscienza alla identità e da questa tornano alla coscienza, vengono realizzate le condizioni per quelle che a noi sembrano scelte, ma in realtà non lo sono.
A noi, come soggetto risultante da questo processo coscienza-identità-coscienza, sembra di esserci e di decidere qualcosa, in realtà è il processo che decide e, in ultima analisi, colei che lo origina.
Ci sono situazioni in cui si creano delle cristallizzazioni: a fronte di una richiesta di dati da parte della coscienza, l’identità risponde sempre allo stesso modo, come un disco rotto. Questo è il caso limite: una convinzione, una paura, un trauma che si sono insediati in uno dei corpi e all’interno del processo di comunicazione tra questi, blocca il flusso di acquisizione dei dati da parte della coscienza.
Noi diciamo che c’è un problema nell’identità: non è sbagliato, ma in realtà il problema è nel flusso dei dati non essendo l’identità un corpo.
Non c’è un soggetto che sceglie, c’è l’illusione di questo. Non esiste alcun soggetto nell’umano, eppure pare esistere: esiste invece un processo che genera l’apparenza di un soggetto.
3- Ammettere l’esistenza di un pur minimo grado di arbitrio è ontologicamente una cosa enorme..
Condivido. Quello che dico potrà sembrare molto poco romantico ma, secondo la mia comprensione, non solo non c’è alcun soggetto, ma anche quella della scelta e del libero arbitrio mi sembra una irrealtà: a me pare che l’unico dato certo sia rappresentato dal sentire che si dispiega ed usa sensori di varia natura per estrarre dati dalla sua manifestazione. E’ come se il sentire si specchiasse nel divenire e ne ricavasse una impressione che ne certifica il grado d’ampiezza.
Per ogni grado d’ampiezza, esistono specchi corrispondenti. Nel mezzo di questo processo, tra ciò che viene proiettato e ciò che viene riflesso, sorge l’illusoria percezione di un soggetto e delle sue scelte.
4- E’ possibile liberamente cambiare canale e agire ciò che trasmette “radio coscienza due”..
Da incarnati non credo. Anche quando accadono fenomeni particolari, come nel caso di certe “illuminazioni”, essi non sono altro che allacciamenti particolari di sentire già conseguiti.
Certo, esistono stati di coscienza alterati, di durata ed intensità variabili, che permettono l’accesso a stazioni più evolute ma, normalmente non sono stabili per la semplice ragione che se una incarnazione sta avvenendo essa ha bisogno di una sua coerenza.
Noi sappiamo che simultaneamente avvengono tutte le incarnazioni e tutte le possibilità date ad una certa coscienza ma, proprio perché percepiamo la realtà attraverso dei veicoli estremamente limitati, fruiamo della percezione di una incarnazione alla volta.
Ai piani più alti della coscienza e ai corpi superiori, è sicuramente accessibile la simultaneità di tutti i sentire e di tutti i processi a cui sono collegati.
5- La generazione di karma è veramente evitabile sulla base di una “nostra” scelta nell’agire?
Potrei dire che la generazione di karma non è faccenda che riguardi l’identità, il soggetto, ma solo il flusso di dati: nel momento in cui il sentire potrebbe generare le scene A o B e, per un limite di comprensione non ancora ben stabilizzata, viene ad esempio scelto nel corso del processo B, quando l’opzione più altruistica sarebbe stata A, allora la coscienza viene programmata in modo automatico, da un algoritmo/automatismo, per una ripetizione della scena in un tempo adeguato.
Concludendo: il scegliere è legato ad un soggetto ma, se c’è solo unità, la questione non è più il scegliere, ma il prendere atto di quel che è, dell’esistente.
L’Assoluto è tutto il quel che è.
Ad un certo punto la nostra vita diventa qualcosa di molto diverso da quella conosciuta e, forse, anche da quella immaginata: la vita accade, le scelte accadono come possibilità del presente che non narrano di un libero arbitrio, ma solo di una inesauribile creatività.
Il libero arbitrio presuppone il duale, l’alternativo e la scelta nell’alternativa; la creatività nell’unitario è il dispiegarsi della potenzialità della vita affrancata dall’out-out.
Ciò che posso testimoniare è che l’umano vive simultaneamente la dimensione del divenire e quella dell’essere: quando l’Essere si travasa nel divenire in modo sufficientemente stabile e duraturo, la persona non interpreta più la sua vita alla luce del libero arbitrio, ma in quella della creatività, del dispiegarsi di essa.
La vita non è più il teatro delle scelte, ma l’ambito dell’Assoluto che manifesta se stesso: tutto ciò che accade non è alternativo, ma inclusivo e dunque non c’è alcun soggetto che sceglie, ma solo l’Assoluto che è.
Tratto questa materia con una certa trepidazione: mi trovo, di necessità, nella condizione di attingere al paradigma impostato dal Cerchio Firenze 77 – che in ampia parte abbiamo adottato nel Sentiero – e nel contempo, non avendo per me alcun senso discutere di cose dette da altri se non sono comprese nel mio sentire e se non appartengono alla prassi del mio quotidiano, debbo affondare lo sguardo in una prospettiva che porta a galla ciò che sento in modo chiaro, ma che è ancora povero e rozzo di alfabeto e di sintassi.
Grazie Roberto.