- Al sentire guardiamo e non alla tradizione del monachesimo.
- Al sentire e non alle religioni.
- Al sentire affidiamo il nostro procedere, a quella comunione che celebra l’incontro di tutti coloro che vibrano all’unisono con il compreso comune.
- Sul sentire confidiamo perché ci conduca in seno all’Assoluto.
Il sentire è ciò che costituisce il compreso delle coscienze: un nuovo monachesimo è pensabile solo nell’ottica della comunione dei sentire.
E’ relativa la condivisione del vivere, del paradigma, dell’officina esistenziale se non c’è comunione di sentire, prossimità di comprensioni comuni: può edificare aspetti dell’umano anche importanti, ma non può condurre là dove il monaco è condotto ad andare.
Quando c’è comunione di sentire tutto è relativamente facile: le identità possono frapporsi, ostacolare e creare equivoci e attriti, ma la sintesi è sempre possibile quando i protagonisti sono avvezzi a trovarla nel sentire.
La prossimità di sentire aggrega le persone e la non prossimità le allontana: lo Spirito, direbbero altri, crea le comunità.
Il nuovo monachesimo è qualificato dal riconoscersi reciproco come portatori di un sentire prossimo e compatibile e dalla libera scelta di procedere assieme.
Il monaco è colui/colei che realizza, così come gli è dato, l’unità in sé.
Colui che aspira all’unità e la realizza incarnandola nel proprio limite e nel proprio quotidiano.
Il monaco incarna il cammino della conoscenza, della consapevolezza e della comprensione là dove risiede, dove sono i suoi affetti e le sue occupazioni: vive in comunità se può e se vuole; vive in solitudine, se lo desidera ed è necessario al suo incedere; sperimenta la famiglia, il lavoro e il mondo se a quello si sente chiamato.
Il monaco non è qualificato dal dove e dal con chi, ma dal cosa fonda la sua esistenza: la dedizione senza condizione al processo di unificazione.
La condizione di monaco non è riconosciuta da altri, ma è compresa dal singolo come propria condizione ontologica: il segno, la cifra, il sentiero, il processo di una vita.
Di un monachesimo interiore parliamo, non di un monachesimo delle forme; di una adesione al processo che conduce in grembo all’Assoluto, non di un abito da indossare, di una forma mentis da adottare, di una condizione sociale da affermare.
Il monaco è colui che avverte la propria separazione e, per vocazione non per scelta, decide che può andare oltre, che quella separazione non è l’ultima condizione a lui possibile: sa, perché l’ha compreso, che c’è altro ed è ad egli accessibile.
La lanterna del monaco è il sentire, non la tradizione, non il libro e l’intelletto.
La lanterna del monaco è la pratica della consapevolezza, della conoscenza, della comprensione.
La lanterna del monaco è la meditazione e la contemplazione.
La lanterna del monaco è il procedere assieme a coloro che la vita gli ha assegnato: da tutti imparerà, dal più umile come dal più dotato, soprattutto da coloro che gli vivono a fianco, chiunque essi siano.
La lanterna del monaco sono i suoi fratelli e sorelle nel cammino: assieme ad essi troverà conforto e rafforzerà il proprio cammino nel mentre attraversa il deserto della scomparsa di sé.
Il monaco, e la comunità dei monaci, sono condotti dalla gratuità, dalla responsabilità e dalla compassione.
– Gratuito è il loro operare: tendendo all’unità interiore, questa perseguono nella naturalezza, nella spontaneità, nel gioco e nell’assenza di scopo.
Tendono all’unità naturalmente, non per scelta, non per dovere, non per adesione: liberi da vincoli e da doveri, assecondano il moto naturale delle loro coscienze e non sovrappongono ad esso alcuna sovrastruttura identitaria.
Gratuitamente servono, gratuitamente condividono, gratuitamente donano.
– Responsabile è la loro presenza: fedeli alla parola data, all’impegno preso, alle responsabilità che la via implica per loro, alla dedizione verso i loro fratelli e le loro sorelle, verso le persone che hanno accanto, chiunque esse siano.
– Illuminata dalla compassione per sé e per ogni creatura è il loro sentire, pensare, provare, agire: così come ad ognuno di essi è dato dal sentire conseguito, essi sanno che ogni essere impara dal proprio limite, vera ricchezza di ciascuno; non si sforzano di essere diversi da quel che sono, ma della loro condizione vedono chiaramente i lineamenti, le sfumature e le possibilità sempre abbondanti e ad esse si applicano.
Il nuovo monachesimo non ha bisogno di niente perché sul niente è fondato: impalpabile è la sua natura, affidata al vento della vita la sua trasformazione.
Nessuno potrà qualificarsi della condizione di monaco perché questa è ontologicamente propria di ciascun essere consapevole.
Il nuovo monachesimo non fonda una nuova tradizione: non avendo bisogno delle tradizioni degli umani perché fondato sulla condivisone dei sentire, è libero di svolgere la propria ricerca là dove le coscienze vorranno condurre i singoli e le comunità.
Il nuovo monachesimo non fonda riti, non sviluppa archetipi, non appronta paradigmi: al sentire conseguito obbedisce e con esso risuona assieme a tutti gli esseri che quel sentire hanno come proprio.
Il nuovo monachesimo è inafferrabile e impalpabile come il vento e solido e concreto come la roccia perché fonda la sua origine, il suo transito e il suo fine sulla natura dell’Assoluto, sull’essere aspetto della consapevolezza di Esso e sullo scomparire in Esso.
L’Assoluto è l’origine, il mezzo e il fine di un viaggio che non ha alcun inizio ed alcuna percorrenza se non nella percezione illusoria dell’umano: tutto finisce quando nell’intimo del monaco fiorisce la consapevolezza e la comprensione che lui non è, la Realtà è.
“Il monaco è colui che avverte la propria separazione e, per vocazione non per scelta, decide che può andare oltre, che quella separazione non è l’ultima condizione a lui possibile: sa, perché l’ha compreso, che c’è altro ed è ad egli accessibile…..”
“– Gratuito è il loro operare: tendendo all’unità interiore, questa perseguono nella naturalezza, nella spontaneità, nel gioco e nell’assenza di scopo.
Tendono all’unità naturalmente, non per scelta, non per dovere, non per adesione: liberi da vincoli e da doveri, assecondano il moto naturale delle loro coscienze e non sovrappongono ad esso alcuna sovrastruttura identitaria…..”
“Gratuitamente servono, gratuitamente condividono, gratuitamente donano.
essi sanno che ogni essere impara dal proprio limite, vera ricchezza di ciascuno; non si sforzano di essere diversi da quel che sono, ma della loro condizione vedono chiaramente i lineamenti, le sfumature e le possibilità sempre abbondanti e ad esse si applicano….”
Questi i passi che mi hanno maggiormente risuonato.
Grazie Roberto, un vero manifesto in cui ci si può riconoscere e che rende più chiaro il cammino.
Grazie!
Mamma mia Robi, mi sono commossa leggendo il post. Ho trovato risposte ai malumori di questi giorni. Il cammino che abbiamo intrapreso è così, impalpabile e non legato a nessuna tradizione. Il lavoro che siamo chiamati a fare, così profondo e sottile, che è veramente difficile dargli un contenitore, una forma. Richiama ognuno di noi ad un lavoro meticoloso e attento a ciò che accade. Scevro da giudizi e da sommarie conclusioni che portano alla separazione e all’affermazione di sé; ognuno di noi segue la propria spinta, anela all’assoluto, si misura con le proprie imperfezioni e i propri ragli, il non compreso. Nella relazione sperimentiamo il nostro limite; questa è una grande opportunità! Quanto sarebbe utile poterci confrontare apertamente, mostrandoci anche nelle nostre debolezze, senza tenere dentro ciò che ci rattrista. Troppo spesso prevale un atteggiamento di arroccamento e di difensiva. Paura di perdere la propria identità? Allora sarà difficile non rimanere divisi e frammentati. Grazie per questo Post!
“L’Assoluto è l’origine, il mezzo e il fine di un viaggio che non ha alcun inizio ed alcuna percorrenza se non nella percezione illusoria dell’umano: tutto finisce quando nell’intimo del monaco fiorisce la consapevolezza e la comprensione che lui non è, la Realtà è.”
Sento che è così, anche se ho ancora molta strada da fare, soprattutto nel vedere la Realtà.