Ma il Signore Dio chiamò l’uomo e gli disse: «Dove sei?». Rispose: «Ho udito il tuo passo nel giardino: ho avuto paura, perché sono nudo, e mi sono nascosto». Genesi 3, 9-10
Il “dove sei” non è certo rivolto alla collocazione fisica, la domanda investiga dove l’uomo ha appoggiato la propria attenzione, la consapevolezza e la relazione che intrattiene con sé e il proprio interiore.
“Ho paura e sono nudo”: nudo davanti ai miei limiti, bisogni, desideri, giudizi, aspettative; pieno di paura perché privo di strumenti per governarli e temo di esserne travolto.
L’ecologia della mente nella via spirituale è una questione centrale: la mente, arnese potente, porta la gran parte degli umani dove vuole. Come?
Attraverso l’autorità che gli umani stessi le conferiscono.
La mente in sé è uno strumento, un apparato governato da sue leggi e sue meccaniche. Il pensiero, che della mente è un contenuto, può raggiungere vette molto elevate, nobili, pure. Dov’è dunque il problema?
Nell’uso dello strumento che deriva dal compreso e dal non compreso: una persona evoluta nel sentire, alimenta un pensiero consono al sentire acquisito e gestisce la propria mente non secondo una disciplina – cosa piuttosto improduttiva, quando non controproducente – ma secondo una ecologia dell’interiore.
Una persona con un grado di sentire più limitato, usa il mezzo con minore destrezza e questo si mostra strumento non particolarmente efficace di un sentire che ha del cammino da fare.
La capacità di gestire il mezzo-mente cambia con il cambiare e il maturare delle comprensioni: come sempre, noi parliamo a chi ha già un capitale di comprensioni acquisito e quindi il nostro esporre la questione non parte dalle basi, se non marginalmente.
Se i contenuti della mente parlano delle comprensioni acquisite e di quelle da acquisire, la prima questione da porsi è:
– se quel contenuto torna e ritorna, di cosa è simbolo e quale non comprensione mi indica?
A nulla servirebbe la disconnessione, se non a rimuovere il contenuto mettendolo nell’armadio degli scheletri.
Ugualmente a poco serve lo stornarsi, o lo stordirsi, se non a rimandare l’appuntamento con il simbolo che bussa.
1- La prima risoluzione alla quale la persona giunge dunque è questa: ciò che si presenta come contenuto della mente parla di me e sono disposto ad ascoltarlo.
Questo è il primo atto di una ecologia della mente nella via spirituale.
2- Il secondo atto è: dove risiede il conflitto, la disarmonia, la frattura, la cristallizzazione?
Nel non compreso, certo, ma anche in certe scelte, in certi usi delle energie, in ceti modi di coltivare i propri talenti e di lasciarci travolgere, o paralizzare, o amputare dai propri limiti.
La seconda risoluzione può essere la seguente: vedo le conseguenze del conflitto e riesco a risalire alla sua origine. Sono consapevole, in vario grado e con varia approssimazione, di cosa la coscienza mi indica attraverso la ripetizione degli stessi errori, vedo ciò che nella lettura della mia realtà personale non è corretto e cerco di correggerlo.
Questo è il secondo atto di una ecologia della mente.
Quando la persona risale all’origine del simbolo, il sintomo psicosomatico, o fisico, tende ad attenuarsi fino a scomparire.
Per sintomo psicosomatico intendo anche gli stati di confusione, di tensione, di apatia, svuotamento, depressione, di aggressività e nervosismo.
3- La terza risoluzione di una ecologia della mente è fondata sulla disconnessione: dopo aver percorso gli step uno e due, si può disconnettere senza incorrere nel rischio di rimuovere.
Questo è lo stadio in cui la pratica della meditazione è una benedizione: meditare significa anche non alimentare la mente e toglierle deliberatamente oggetti e trastulli.
Il meditante torna incessantemente a zero, ad una condizione di neutralità e, nel fare questo, vuota senza sosta il “secchio della mente” e si focalizza su di un dato sensoriale: per alcuni il respiro, per altri lo sguardo sul muro, o la pressione dei pollici in zazen.
La focalizzazione sulle sensazioni, non coltivata ma semplicemente lasciata affiorare e scomparire naturalmente, è la porta del sentire: ogni volta che la consapevolezza si porta sulle sensazioni il mondo della mente e delle emozioni scompare e assume prevalenza quello del sentire con il suo portato unitario.
Questo è il terzo atto di una ecologia della mente nella via spirituale.
4- La quarta risoluzione riguarda i contenuti che, in una mente così allenata e disposta, vengono ospitati.
Nell’immenso contenitore del corpo della mente, quali contenuti alimento e ripongo? Su quali indugio? Di quali mi nutro ripetutamente?
Non è vero che il cibo fa la persona e così non è vero che il contenuto fa la mente, ma in entrambi i casi il contenuto può inquinare i suoi contenitori.
E’ il contenuto della coscienza che fa la mente, ma è anche vero che il contenuto che nella mente aggiungo dal mondo del divenire, dei sensi, può offuscare e soffocare il contenuto della coscienza e il suo intento.
Alla mente affluiscono informazioni dal suo corpo superiore, quello della coscienza, e dal suo corpo inferiore, quello astrale: come si combinano?
E l’identità, che non è un corpo ma una lettura di sé, a cosa dà la precedenza e la prevalenza?
Cosa decido deliberatamente di alimentare? Con cosa sono identificato?
Ecco allora che la quarta risoluzione riguarda la possibilità di nutrire la propria mente con contenuti che la mantengano in equilibrio e in una tendenziale trasparenza e neutralità: verranno dunque evitati tutti quei contenuti inutilmente attorcigliati cognitivamente e quelle emozioni pesanti e permeate degli umori più basici.
Si tenderà a tornare ai contenuti neutri che affiorano da ogni singolo accadere, ovvero si disconnetterà ogni giudizio, ogni fantasia e ogni aspettativa dal contenuto mentale relativo al fatto che accade: ricordo che i fatti, tutti i fatti, sono in sé neutrali, siamo noi che li connotiamo.
Questo è il quarto atto di una ecologia della mente.
5- La quinta risoluzione di una ecologia della mente riguarda l’ambiente che frequentiamo e le relazioni che coltiviamo.
Ogni persona è disegnata diversamente ed è variamente vulnerabile e permeabile all’ambiente vibratorio nel quale è inserita: una persona emette una atmosfera vibratoria e tra atmosfere è immersa, vive in un ambiente vibratorio e deve imparare a discernere cosa, come e chi la condiziona.
Non si tratta di escludere, di rifiutare e di discriminare, ma di muoversi con prudenza, consapevolezza e discernimento nel mondo degli esseri sapendo che ciascuno porta il suo e non sempre quello che porta è per noi opportuno.
Ci sono situazioni esistenziali a noi necessarie ed inevitabili, a nulla servirà sfuggire quelle persone, o quegli ambienti che ce le propongono: sarà però saggio misurare e ritmare l’esposizione, in modo tale che si mantenga aperta l’officina esistenziale senza esserne travolti.
Questo è il quinto atto di una ecologia della mente.
6- La sesta risoluzione riguarda il circondarsi di un ambiente vibratorio adatto nella sua forma energetica, estetica, funzionale al nostro sentire.
Ciò che abbiamo attorno durante la giornata e con cui interagiamo senza sosta, deve energeticamente corroborarci e contribuire ad allinearci, sia che si tratti di persone, che di modi di operare mansioni e compiti, che di oggetti, immagini, colori, suoni, materiali, sostanze, alimenti.
Questo è il sesto atto di una ecologia della mente.
7- La settima risoluzione riguarda lo spazio che dedichiamo alla contemplazione dell’esistente, a ciò che non è noi, ma semplice vita.
L’eccesso di attenzione a sé è deleterio: nel corso della giornata appoggiamo la consapevolezza sull’accadere dei fatti senza la necessità di ricondurli a noi, alle nostre utilità e ai nostri bisogni.
Possiamo osservare, ascoltare, tacere. Possiamo fare silenzio, silenzio di noi.
Possiamo osservare e contemplare l’esistente come fatto che accade e di noi non si cura: questa dimenticanza e consapevole insignificanza di sé, è il sale della vita della persona della via spirituale.
Questo è il settimo atto di una ecologia della mente nella via spirituale.
Come dice Marco, capire il simbolo che c’è dietro al conflitto, alle disarmonie, non è affatto semplice. Se sono io stessa con le mie scelte, con le mie incomprensioni a ricreare le scene, sempre quelle, con gli stessi errori, non essendo al di fuori di esse, rimane difficile trovare il distacco necessario alla comprensione.
Credo occorra avere conoscenze psicoanalitiche non indifferenti che certo non ho ma che molti non hanno. Forse con l’aiuto dell’altro al di fuori di me e del mio conflitto, riuscirei a capire meglio la strada da intraprendere verso la comprensione del simbolo.
Risalire all’origine del simbolo è probabilmente una delle cose che mi rimangono più difficili, anche se, come tu dici, fondamentale per poter passare alle fasi successive. Comunque, a ben guardare, qualche passo avanti l’ho fatto. Di certo bisogna stare attenti a evitare che la disconnessione sia di fatto una rimozione.
Roberto, leggo tutti i tuoi post con profonda gratitudine. Queste parole riescono a penetrare nel mio intimo e diventano gli strumenti per imparare a sentire ciò che mi circonda con una consapevolezza sempre più ampia. Gassho.