[…] L’unico giudice di voi stessi, figli nostri, un giudice al cui cospetto anche i più grandi inquisitori si sono sentiti tremare in maniera irrefrenabile le ginocchia non è altri che voi stessi.
Voi stessi siete giudici e carnefici, voi stessi vi condannate al tormento, voi stessi vi crocifiggete con una valanga di «se avessi voluto», «se avessi cercato», «se avessi fatto non fatto» e fate fatica a perdonarvi, finendo con rendervi impossibile cercare di porre rimedio a ciò che siete stati diventando dei voi stessi diversi, preferendo le mille corone di spine dei vostri sensi di colpa al cambiamento che, solo, potrebbe porre rimedio, per la vostra coscienza, a ciò di cui vi incolpate.
Noi vi diciamo che non esiste una condanna eterna e vorremmo davvero che voi poteste riuscire a credere in queste nostre parole.
Ma non vorremmo che quanto vi diciamo diventasse un modo per agire con leggerezza, senza preoccuparvi delle conseguenze di quello che avete fatto, che fate o che farete. Noi vorremmo, invece, che voi comprendeste che punirvi non serve a niente se non a rendere la vostra vita l’immagine di quel l’inferno di cui parlano le religioni e che voi stessi tendete a costruirvi. Moti
«Ma io ho fatto e detto cose che.. oh, quante volte!
E come posso non stare male, non sentirmi in colpa,
non perdere il coraggio
di guardarmi negli occhi allo specchio?».
Fratelli, pensate che questo disferebbe
ciò che ormai è fatto?
Pensate davvero che questo
sanerebbe le ferite che avete inferto?
Pensate vera mente che questo annullerebbe il dolore
che avete aiutato a nascere in voi e ne gli altri?
Voltate pagina, incominciate una vita diversa.
Fate della comprensione dei vostri sbagli la base per non commetterli più, trasformando il dolore in speranza, la colpa in
accettazione di aver commesso degli errori, il rimorso in consapevolezza che potrete evitare di commetterli ancora. Fabius
Fonte: Cerchio Ifior, Dall’Uno all’Uno, volume 3.3, pagg. 118-119, Edizione privata
Aspetti del nostro passato e del nostro presente non ci rendono fieri, a volte vergogna e inadeguatezza si stringono la mano e il nostro disagio è grande.
Quel disagio parla di una non corrispondenza tra il sentire conseguito e la sua rappresentazione: se un sentire limitato genera una rappresentazione coerente con quella limitazione, non c’è problema, né disagio.
E’ quando quel sentire poteva produrre qualcosa di diverso da quel che ha prodotto, che sorge il disagio: in altri termini, il senso di colpa nasce, e con esso il rifiuto di noi, quando avevamo una possibilità di fare meglio e l’abbiamo sciupata.
Ecco che la consapevolezza di quello che abbiamo operato e della alternativa che abbiamo evitato, è basilare: ho fatto questo ma potevo, era nelle mie possibilità, fare altro.
Ma, se era nelle mie possibilità, perché non ho fatto altro?
Ecco la chiave del “perdono”: perché altro non era veramente e fino in fondo compreso, e quindi disponibile; se lo fosse stato, non avrei avuto alcuna possibilità di scelta, avrei potuto operare solo la soluzione più avanzata nel sentire.
La colpa nasce da una non chiara comprensione di come funzioniamo ma, d’altra parte, ha una sua funzione insostituibile: ci mette davanti agli occhi la nostra relatività e il nostro limite.
Perdonarci è il comprendere che non abbiamo operato meglio perché in fondo stiamo armeggiando con qualcosa che padroneggiamo solo in parte e quindi più di tanto non possiamo aspettarci da noi stessi.
E’ una comoda auto assoluzione? Può darsi, ma ci penserà il senso di colpa a darci la giusta inquietudine.
E se il senso di colpa non verrà, vorrà dire che quello che abbiamo operato era il massimo per noi.
Chiaro e stimolante. Grazie
Molto interessante,grazie.
Chiaro il concetto di senso di colpa. Non è una gabbia, ma l’indicazione del lavoro che abbiamo ancora da fare.