Ciò che incontro attraverso te

Ciò che incontro attraverso te non è altro che ciò che devo apprendere.
Ciò che la coscienza genera attraverso me e attraverso te, è l’oggetto del mio apprendere.
Tu sei lo strumento, il mezzo, il testimone che con il suo semplice esserci attiva ogni processo a me necessario.
Tu sei l’attrice, l’attore utile e indispensabile sul mio palcoscenico esistenziale. senza di te nulla potrei né vedere, né comprendere.
Quando ho un conflitto con te, la mia mente ha un conflitto con te, le coscienze non hanno conflitti.
Quando ti lascio, la mia mente/identità ti lascia: la coscienza troverà un altro partner con cui fare lo stesso lavoro che ho interrotto con te.
Mi sembra di godere di un libero arbitrio ma, nei fatti, questo è aleatorio: non sono libero di scegliere cosa imparare, semmai sono libero di scegliere se farlo con Giulia o con Maria.
Quando tutto questo mi è chiaro, quando so che dovunque io vada incontro sempre me stesso e le mie non comprensioni, prima di fare delle scelte ci penso a lungo.
Mi si osserverà che a volte delle officine esistenziali sono così logorate che è meglio chiederle: dipende.
E’ vero che delle officine sono a volte molto logorate, e chi le ha condotte a quel punto? Lo spirito santo?
E se gli attori sono logorati, si illudono forse che con altri partner non giungeranno a identico logoramento?
Certo, in una officina successiva si riverserebbero le comprensioni conseguite nella presente e dunque il lavoro su una certa non comprensione potrebbe avvenire in un contesto diverso e più facile: la non comprensione sarà invece la stessa che ha determinato il fallimento precedente.
In sé il problema non è mai a livello di coscienza, ma sempre a quello di mente/identità: troppe cose vengono dette e si accumulano, troppe ferite vengono inferte ed è questo complesso sedimentato che porta le persone a doversi lasciare ed allontanare.
Utili, molto, sono gli accompagnamenti con l’inserimento di una persona terza che guida ed orienta il confronto, perché possono permettere il decantare di quel materiale sedimentato e la sua elaborazione, oltre, naturalmente, alla possibilità di rimettere a fuoco lo scopo esistenziale di quel rapporto, la sua trama profonda non ancora esaurita, ma solo smarrita.
Nelle comunità, nelle vie spirituali è la stessa cosa: inevitabilmente si giunge ad un logoramento: come nella coppia si assiste alla successione innamoramento/affetto/amore e non sempre si arriva al terzo stadio, così nella via si passa dalla fascinazione/risonanza, alla routine/svuotamento, alla comprensione profonda della funzione di quella via per noi.
Nelle varie fasi, l’impatto con l’altro è sempre problematico, con il maestro come con il fratello nel cammino; una volta superata la prima fase, quella meno condizionata dalla mente e più avvolta nel sentire, la mente/identità trova appigli e sviluppa distinguo e non sempre è semplice mantenersi vigili e smascherare il suo gioco.
Ci sembra che tutti siano inadeguati e incoerenti e non vediamo che stiamo già preparando il nostro ritiro, l’onorevolezza di esso per noi, il salvarci la faccia davanti a noi stessi: è l’altro il responsabile, non io.
In realtà, siamo ad una svolta e, se invece di programmare il ritiro, stessimo sui fatti, scopriremmo che essi parlano di un logoramento fisiologico che porterà al superamento della vecchia modalità con cui abbiamo vissuto le esperienze e alla nascita di un approccio nuovo, più profondo e coerente da parte nostra.
Ma bisogna accettare di morire al vecchio, ed è dura e spesso non ci stiamo e voltiamo pagina.
Nessun problema, la prossima officina ripresenterà il lavoro sempre attraverso coloro che a noi appariranno inadeguati e incoerenti e questo durerà fino a quando non avremo imparato ad andare oltre il paradigma della adeguatezza/inadeguatezza, coerenza/incoerenza.
Come vedete, il problema è solo nostro.
Mi si potrebbe obbiettare che, cambiando il proprio sentire nel tempo, l’organismo che ci ospita potrebbe non essere più adeguato al nuovo sentire maturato: si, questo è possibile ed è uno dei pochi casi in cui il problema non è più nostro.
Rimane da vedere se abbiamo visto bene ciò che quell’organismo offriva, o se il nostro sguardo era ancora troppo oscurato dalle aspettative e dai bisogni per cogliere la profondità di quello che c’era oltre le nostre nebbie.


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nadia

Grazie mille Roberto!

Alessandro

Grazie!

Sandra Pistocchi

“Ma bisogna accettare di morire al vecchio, ed è dura e spesso non ci stiamo e voltiamo pagina…” penso che questo sia il fulcro, troppo attaccamento governa le nostre vite.

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