Il lutto della mente nella via spirituale

Mi dice un’amica e sorella in questo cammino, di come le sia cambiato l’umore da quando pratica senza sosta la disconnessione, il ritorno a zero, al presente che accade: la pervade uno stato di neutralità con l’umore mai acceso, ma piuttosto colorato da una lieve malinconia e apatia.
E’ una condizione che ben conoscono le persone che hanno una lunga confidenza con la via interiore e spirituale e che accomuna tutti coloro che coltivano senza sosta la consapevolezza del presente e, con essa, l’incessante disconnessione dal contenuto mentale ed emozionale e dall’identificazione con ciò che accade.
E’ un esperienza che si presenta non all’inizio di un cammino, ma in una fase più matura di esso: all’inizio il neofita vive qualcosa di assimilabile all’innamoramento, copiosi sembrano essere i doni, grande l’impressione per il nuovo mondo che si dischiude all’esperienza.
Dopo tanta lontananza da sé e discreta cecità, avere finalmente accesso ad aspetti della realtà non condizionata appare straordinario e di quella straordinarietà si nutre la mente e l’identità nel suo insieme: il neofita ha la razione di entusiasmo che gli spetta, gli opportuni stati di coscienza intensi, e a volte alterati, la ricchezza di un mondo interiore nuovo, desiderato e magari inaspettato. Collocherà tutto questo nelle caselle del proprio personale paradigma e la sua identità si nutrirà del nuovo fino a quando non diverrà usato, ovvero finché la routine non lo banalizzerà.
Nei fatti, il neofita sperimenta uno stato di coscienza che è nuovo ai suoi occhi, alla sua interpretazione ma anche ai suoi corpi transitori: né la mente, né il corpo astrale, né quello fisico sono attrezzati adeguatamente al recepimento di quella vibrazione nuova che affluisce dalla coscienza.
Nel volgere di un tempo assolutamente personale e diverso per ognuno, quella vibrazione verrà integrata e metabolizzata e i corpi transitori diverranno atti a reggerla e a lasciarsi attraversare e permeare da essa.
Questo da’ inizio alla fase matura, alla possibilità successiva: la persona nel frattempo, essendosi inserita più a fondo nella pratica della via, ha certamente iniziato a togliere sistematicamente oggetti alla mente, ovvero ha iniziato a coltivare la disconnessione e la non identificazione con metodo e costanza.
La mente/identità si trova a vivere l’esperienza del perdere: niente è più nuovo, stimolante ed eccitante; tutto sembra assomigliare ad una teoria senza fine di birilli che cadono.
Sembra, ad un certo punto, ci sia solo il perdere: negli affetti, nel lavoro, negli interessi e nella via stessa, ovviamente.
Qui inizia la lunga stagione del lutto della mente/identità: la realtà quotidiana perde di colore, di spessore e scorre e basta, non fa che scorrere senza che un appiglio sorga, senza che una volontà si allunghi per afferrarlo.
Molte volte abbiamo parlato di questo stato che chiamiamo deserto e che accomuna tutte le vie e tutti i viandanti, fatto salvo che ognuno è un mondo a sé e non bisogna mai pensare che se questo accade a diversi, debba per forza accadere a tutti e in questi termini.
Non avendo la mente più trastulli, o vedendoli drasticamente ridotti, si deprime: non dobbiamo mai dimenticare che essa è un organismo eccitatorio e nel quotidiano cerca cibo con cui nutrirsi.
Se la pratica della disconnessione le toglie quel cibo; se il ritorno a zero, al presente come si dice, la marginalizza rispetto al sentire che invece avanza, tutta la visone di sé, la struttura identitaria e la sua percezione, viene messa in discussione.
Non è un processo di poco conto: il modo di funzionare conosciuto fino ad allora viene superato dall’azione simultanea della disconnessione e dei flussi a cui essa apre la porta. Il ritorno a zero non è solo il lasciar andare un contenuto mentale od emozionale, ma è, innanzitutto e principalmente, un aprire la porta al sentire e al suo affluire attraverso i corpi, anche quando la consapevolezza di esso ancora non è sorta.
Ciò che prima era centrale – la dinamica identitaria e l’identificazione con essa – ora diviene secondario: il conosciuto lascia il passo allo sconosciuto, ad una esperienza che non trova codifiche certe nella mente a meno che il paradigma che si applica non lo comprenda espressamente ma, comunque, anche in questo caso, tra ciò che si sa e ciò che si è compreso c’è sempre una distanza dentro la quale nasce un disagio.
Fini a quando dura il lutto della mente/identità?
Finché è vivo il seme della identificazione e della auto attribuzione della realtà: più la coscienza comprende la reale natura dell’essere e della vita, più la disconnessione produce il suo frutto e la realtà ci scorre davanti nel suo essere sequenza di fatti.
Nel mentre questo processo avanza, il lutto si attenua, la neutralità diviene la norma feriale del quotidiano e continua ad affluire sempre più copioso il sentire.
Dalla centralità egoica passiamo alla centralità del sentire: esso porta con sé un mondo, quella realtà che prima avevamo bisogno di mangiare, di impossessarcene, di farla nostra, ora diviene il “segno operante dell’Uno”, l’aspetto mai diviso dell’Unità, la sorgente del senso proprio quando al senso non dedicavamo più alcun interesse; la pienezza d’essere e la compassione che ci attraversano e che nulla dicono di noi e tutto dell’Assoluto.
Il lutto dunque è solo una stagione: il deserto, ripetuto e rincontrato mille volte è stato interiorizzato, ha prodotto il suo frutto, è parte dell’essere che finalmente libera la sua natura e non subisce condizionamento né dal pensiero, né dall’emozione, né dai fatti della vita se non in maniera residuale diversa per ciascuno.


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5 commenti su “Il lutto della mente nella via spirituale”

  1. Grazie Robi. Queste parole chiariscono ciò che provo. Associavo questo stato d’animo alla malinconia che sempre mi accompagna questa stagione dell’anno. Proprio ieri dicevo ad un’amica “in questo periodo faccio fatica a formulare pensieri complessi, non trovo le parole per argomentare alcunché! Mi pare di non riuscire ad esprimere opinioni che abbiano un senso. Le parole mi muoiono in gola e tutto mi sembra “troppo”.” No, non è sempre facile stare nel “deserto”, ma sapere che altri hanno già percorso quella strada alimenta la fiducia.

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  2. Mi ritrovo appieno in questo stato descritto di perdita: i trastulli della mente, sempre di meno e le parole a fatica emergono. Il problema rimane nella residuale relazione con gli altri, per quello ancora che c’è da spartire. Difficile farsi comprendere è difficile comprendere quello che si dispiega davanti che ancora sembra così allettante per gli altri. Grazie.

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  3. Una volta molti anni fa una cara amica mi disse: “Ci sarà un tempo in cui la cioccolata avrà perso il suo fascino ma la mela non ti attirerà ancora e in quel vuoto tutto si gioca…” Allora non compresi quelle parole anche se risuonarono adesso mi sono chiare! Grazie robi!

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