Da dove deriva l’importanza che diamo ai fatti, agli stati, ai processi?
Da due fattori almeno:
– dalla spinta della coscienza ad imparare;
– dall’identità che ne trae sostanza d’esistere.
Viene una stagione in cui entrambe queste spinte si attenuano fino a scomparire.
Nella persona si afferma uno stato fondato sul non agire, sullo stare: uno stato contemplativo.
La spinta a fare si placa sorretta dall’intima comprensione che il mondo non ha bisogno di noi perché, in sé, ogni scena che vi accade è perfetta ed adeguata alle necessità evolutive di chi la vive: alla luce di questo, non si attiva il moto del fare, o del proporre, ma quello dello stare, dell’essere eventualmente pronto quando la vita ci interpella, quando ci chiama.
La nuova disposizione è dunque reattiva, non propositiva: “mi attivo se mi chiami, altrimenti sto nel fluire dei fatti fino alla prossima chiamata, se verrà”.
Se hai domande sulla vita, o sulla via, qui puoi porle.
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grazie
Da una parte comprendo quanto detto ma penso anche che non siamo chiamati a lasciare questo mondo un poco migliore di come lo abbiamo trovato? Anche nel piccolo del proprio quotidiano?
Certamente, Nicoletta; nel post si sottolinea come l’azione diventi non più una scelta basata sulla volontà propria, ma un agire sospinto dalla vita, in risposta ad una domanda.
L’aspetto centrale è quel non agire più di propria volontà..
aggiungo..
Per non parlare dell’identità !! Dura a morire 😀
La mia attuale difficoltà sta nell’attivarsi correttamente alla chiamata della vita.
Spesso spreco energia in una direzione non esatta e quindi la vita mi continua a chiamare/bussare su quel determinato fatto.
Non molto semplice come officina ! 🙂
Alberto