A volte nella mente possono affiorare contenuti che ci disorientano, aspetti che non dovrebbero essere lì perché, evidentemente, non sono che cascami, residui del grande scorrere dei dati tra esperienza e coscienza.
Il corpo mentale, come il corpo astrale, stanno nel mezzo tra coscienza ed azione/esperienza: attraverso essi transita il flusso di dati che proviene dalla coscienza e che è da essi decodificato e reso disponibile al corpo immediatamente sottostante, come transita il flusso di dati di ritorno dall’esperienza che sale verso la coscienza ed anche in questo caso passa attraverso il sistema delle decodifiche.
Le decodifiche, le interpretazioni, le visioni sono personali, soggettive; culturalmente, antropologicamente, storicamente condizionate: le decodifiche sono la risultante dei corpi transitori, ne registrano il limite e in essi sedimentano i dati e generano le interpretazioni: è come osservare un’officina con tutti i suoi rumori, odori, materie prime e scarti di lavorazione; ordine, disordine, umori dei corpi e delle menti che lavorano.
Nei corpi transitori rimane impresso il processo che originerà poi le comprensioni, ma quello è solo un aspetto della realtà interiore, l’aspetto grezzo, certamente non definitivo, sicuramente provvisorio e derivante dalla gran mole di dati in esame e in transito.
Se vogliamo avere un’idea di chi siamo, dobbiamo anche e soprattutto guardare alla coscienza, che è assimilabile al pezzo finito: la coscienza chiede dati, l’esperienza glieli fornisce, la risultante sarà una comprensione di vario grado e limitazione, ma sarà comunque qualcosa di molto più definito, di molto meno caotico e provvisorio del processo di comprensione, conterrà in sé un ordine e, soprattutto, una visione e una coerenza d’insieme.
Mentre l’identità può vivere il guazzabuglio dell’officina, dei molti pensieri e delle tante emozioni, delle variegate interpretazioni e delle tensioni di ogni genere, nel sentire i dati si ordinano: i pensieri divengono concetti, i frammenti si compongono in aggregati, il parziale viene contestualizzato; il relativo assume il suo significato nel contesto dell’unitario.
Questa è la ragione per cui, anche quando siamo attraversati dal conflitto e dalla confusione, dobbiamo evitare di farci del male colpevolizzandoci oltre il legittimo, nella consapevolezza che la percezione di noi stessi è relativa e superficiale e non tiene quasi mai in conto, o comunque mai compiutamente, il quotidiano come officina, la tuta che non può non sporcarsi e il progetto d’insieme nel quale l’officina è inquadrata.
Le immagini che proponi sono estremamente chiare… Grazie!
Una domanda, che non so se ha senso, ma in questi giorni in cui sto lavorando con molta attenzione sui moti interiori mi sono chiesta: nasce prima un pensiero e poi l’emozione lo riveste oppure è l’emozione la prima a sorgere e il pensiero in qualche modo ci si attacca giustificandola? Scusami se in qualche modo è inutile o banale!
Direi che i due sono inseparabili: può darsi che l’attivazione prenda l’avvio da una emozione a cui immediatamente si collega un pensiero e una memoria; come può darsi che il processo si attivi a partire da un dato cognitivo.
Altre volte nasce da una memoria inscritta nel corpo e che si riattiva in virtù di una qualche pratica.
Credo che solo nella contemplazione i due viaggino separati..