La consapevolezza, e il prezzo, delle responsabilità personali

“La responsabilità di quello che facciamo è sempre nostra in tutti i casi e dobbiamo sempre tener presente che quanto facciamo ha sempre delle ricadute sugli altri, cosicché queste ricadute diventano, sì, anche un problema dell’altro che reagisce alle nostre azioni e quindi ha a sua volta delle responsabilità sulle scelte che metterà in atto per reagire, però la responsabilità dell’innesco della situazione resta comunque la nostra”. Dal Dizionario del Cerchio Ifior.
Parlavo, nel post di ieri, del tumore sociale che emerge come simbolo quando certi personaggi sono chiamati dalla collettività che li elegge a immense responsabilità.
La decisione del singolo elettore, del singolo cittadino, prende molto spesso le mosse da stati umorali, da visioni parziali e limitate, da un’analisi estremamente soggettiva del reale: i risultati che quella soggettività produce, si ripercuotono poi sull’intero corpo sociale e una responsabilità individuale diviene una responsabilità collettiva difficilmente governabile.
Un esempio: il nuovo presidente americano nega che esista il surriscaldamento del pianeta causato da un eccesso di emissioni di CO2.
I suoi elettori, evidentemente, concordano con lui o, quantomeno, ritengono che il problema non sia rilevante perché hanno altre priorità.
Tra quarantanni – se prima non succede un cambio di visione e di atteggiamento – quando molti di voi saranno ancora in vita, la popolazione del pianeta sarà tra i nove e i dieci miliardi di persone che nasceranno, prevalentemente, nei paesi poveri. L’Africa raddoppierà la sua popolazione. L’acqua potabile scarseggerà. L’uso di combustibili fossili non potrà che aumentare.
Le conseguenze di un piccolo gesto personale dettato dalla rabbia, condizionato dal bisogno personale, oscurato da un’assenza di visione generale, vanno ad unirsi ad altre responsabilità individuali e compongono un immenso puzzle composto di parzialità, ignoranza, presunzione, le cui conseguenze ricadono, inevitabilmente, su tutti e in particolare sui più disagiati.
Quando il sentire si amplia, questo diviene evidente. Quando il sentire è ottuso e limitato, questo non si vede, non si considera, non ha valore e rilevanza: la persona vede il proprio bisogno e non coglie le implicazioni con il bisogno dell’altro e il bisogno di tutti.
E’ bello sentire dire a qualcuno: “Ho sbagliato! Mi scuso, cambierò visione e mi comporterò diversamente!” Ma, purtroppo, non è espressione comune o, quando lo diviene, spesso non produce il cambiamento necessario, perché?
Perché si è capito, ma non si è compreso.
Il mondo è lo specchio delle nostre interiorità e ciò che vi accade è il simbolo del nostro sentire, del suo limite, o della sua ampiezza: il mondo è lo specchio del compreso inscritto nelle coscienze.
Il vero cambiamento avviene quando si è compreso: chi comprende, vede cambiare il proprio mondo interiore e i propri comportamenti, conosce la propria responsabilità e non la fugge.
Chi comprende, sa quanta strada ancora lo attende e vede coloro che ha accanto, la loro difficoltà e il loro procedere, e non diviene il loro giudice, né diviene il censore del loro non compreso.
Chi comprende ha compassione della propria ignoranza e limitatezza, e di quella altrui.
Detto questo, non significa che chi comprende debba tacere il danno immenso, e il dolore che ne deriva, prodotto dall’ignoranza e dalla limitatezza del sentire.
Ma, sebbene il danno sia grande, e il dolore derivante proporzionato, la persona che comprende sa anche che questo è inevitabile perché l’umano impara solo pagando il prezzo delle proprie decisioni, delle personali responsabilità assunte o rifiutate.


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