Leonard Cohen se ne è andato e un’altra voce, di quelle che attraversano l’anima, non c’è più.
Dori Ghezzi lo ricorda sull’Huffington Post.
Dice Dori: Le linee parallele percorse dai grandi poeti a volte si incontrano. Forse perché Leonard Cohen, come Fabrizio De André, era nato nel futuro, fuori dal suo tempo biologico. A rendere “speciali” le canzoni di Cohen c’è forse solo lo stesso elemento imponderabile, la capacità di dare emozioni, di trasmettere idee e sentimenti che ti appartengono ma non sapevi di avere. Non basta essere bravi. A rendere “speciale” Cohen era anche quella pignoleria maniacale in concerto che “affliggeva” del pari De André e che poi significa solo uno smisurato rispetto per il tuo pubblico.
E’ così, ma non solo: la loro grandezza è stata quella di parlare da sentire a sentire; di veicolare attraverso i testi, le voci, la musica la tensione interna al loro sentire che ha vibrato, e vibra, assieme alla tensione interna al sentire di chi li ascoltava e li ascolta.
Hanno parlato dell’umano intriso di ricerca esistenziale; dell’umano sporco di fango e con il cuore aperto; dell’umano che cade e segna il limite senza cessare di interrogarsi.
Hanno trovato le parole per esprimere la loro personale ricerca esistenziale e, nel farlo, hanno parlato a tutti coloro che stanno nella tensione tra l’alto e il basso, tra un dio sconosciuto e un umano mai fino in fondo accettato; hanno parlato a tutti coloro che, nel cammino del sentire, vivevano e vivono la fatica dei giorni e aspirano ad una pace mai definitiva, ed in fondo non più di tanto desiderata essendo l’indagare, il processo, il senso stesso del vivere.
Il sentire non muore e non passa, i contenuti della mente tramontano, le emozioni sono come il vento, il sentire non conosce il tempo: all’umano di domani, loro ancora parleranno da sentire a sentire.