Non convincere, ma creare le condizioni per sperimentare

Marco 1,17 Da allora Gesù cominciò a predicare e a dire: “Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino”.
18 Mentre camminava lungo il mare di Galilea, vide due fratelli, Simone, chiamato Pietro, e Andrea suo fratello, che gettavano le reti in mare; erano infatti pescatori. 19 E disse loro: “Venite dietro a me, vi farò pescatori di uomini”. 20 Ed essi subito lasciarono le reti e lo seguirono. 21 Andando oltre, vide altri due fratelli, Giacomo, figlio di Zebedeo, e Giovanni suo fratello, che nella barca, insieme a Zebedeo loro padre, riparavano le loro reti, e li chiamò. 22 Ed essi subito lasciarono la barca e il loro padre e lo seguirono.
“Ed essi subito lasciarono la barca e il loro padre e lo seguirono”. Subito. Matteo e Luca, nel riprendere il testo di Marco, mettono ugualmente in risalto quella subitaneità.
Chi può seguire qualcuno, o rispondere ad una situazione, con quella immediatezza di cui gli evangelisti parlano?
Chi è pronto nel sentire.
Ogni grado di sentire interpella un altro grado di sentire equipollente: i sentire risuonano come braccia di un diapason.
La questione dunque non è se i sentire possano risuonare, ma perché non accade la risonanza:
– perché i sentire sono di differente ampiezza;
– perché la persona oscura il proprio sentire.
Non c’è porta che viene aperta se la frequenza del bussare non è udita da chi risiede nella casa.
Non c’è possibilità di ascolto se la consapevolezza è coperta dal rumore della casa.
I discepoli rispondono perché hanno orecchie per sentire: hanno un sentire pronto alla nota del maestro e sono sufficientemente liberi da se stessi.
“Lasciarono la barca e il loro padre e lo seguirono”.
Lasciarono l’identificazione con i loro averi e con i loro affetti, con la preoccupazione del vivere e con l’appartenenza ad un ordine sociale e morale per convertirsi all’interiore, per dedicarsi al cambio di prospettiva, per realizzare in sé quell’unità risvegliata dalle parole del maestro, dal suo invito.
Possono seguire l’invito perché sono pronti nel sentire e allora la loro decisione è subitanea, nell’interiore era già maturata e la mente era già pronta: ottusa, come si vedrà in seguito, ma pronta per quella sequela.
Tutto questo insegna molte cose: a cosa serve il nostro sforzo nel voler condurre l’altro a comprendere? A niente.
Nessuno può essere indotto a comprendere, solo l’esperienza diretta lo permette.
Ciò che va fatto, e che mai si fa abbastanza, è il mettere ogni essere nelle condizioni di poter sperimentare appieno il vivere che gli spetta.
Che siano i figli, il partner, i genitori, gli amici, i discepoli, questa è la questione: non convincere, ma creare le condizioni per sperimentare, perché ciascuno possa realizzare l’esperienza che gli è necessaria al fine di essere quel che è, non quello che dovrebbe essere.
L’esperienza genera la comprensione e per ogni comprensione raggiunta c’è una chiamata a cui si può rispondere, un grado di sentire col quale entrare in risonanza.


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Alberta

È vero, non si può mai imporre l’aiuto all”altro,ma creare le condizioni perché l’altro sperimenti, magari sulla nostra spinta. Confesso che faccio molta fatica in questo.

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